Croazia, dobro!

IMMANCABILE PREMESSA

Chi mi conosce lo sa, non sono più carabiniere e, oltre a questo, sa anche che ho comprato un taccuino ove raccogliere appunti delle mie gite fuori porta. Per cui lascio un attimo in sospeso le avventure irlandesi (ancora in attesa del tragico epilogo), per ceder spazio a quelle croate, appena vissute, trascorse tra Zagabria, Plitvice e Novi Vinodolski, riguardo cui ho scritto giusto qualcosina, tipo un'enciclopedia omnia De Agostini.


Hai un bel po' di roba lì, eh? Sì?

Mentre mi ustionavo sulle spiagge del Quarnaro ho letto un libro (che chissà quanto tempo fa avevo comprato per poi mollarlo alla polvere e a qualche sguardo distratto) che, più che un romanzo o un racconto, è un vero e proprio memoriale. Non entro nel merito di chi o di cosa parli, non è importante (per lo meno non in questo frangente), ciò che conta è che si tratta di un resoconto dettagliato di memorie e di ricordi. E non credo sia un caso che mi ci sia imbattuto proprio quando ho deciso di mettere a referto ogni cosa considerassi significativa. Perché sì, ho capito che valore abbia la scrittura delle proprie vicende, specie quando non derivano dalla routine quotidiana ma da “avventure”, più o meno grandi, no matter what.
Per assurdo è come se, non scrivendo niente, smarrissi i giorni e ne buttassi via pensieri, parole, opere e omissioni. D'accordo le foto, al naturale o rivedute e corrette by instagram, ma uno scatto, per bello che sia, non può raccontare tutto. Quante volte riguardando una fotografia si sorride, ce ne si compiace, ma non ci si ricorda di tutto quello che c'è stato dietro? Ecco, tipo.
Allora scrivo, con la speranza di essere più sintetico delle altre volte, speranza vana che, come al solito, saprò disattendere con logorroica maestria.

Ti manca un armadio dove mettere i giorni che stiamo perdendo


LUBIANA

Di autostrade di merda ce ne sono, ma come quella che passa sopra Venezia, no.

Dovendo attraversare la Slovenia per raggiungere la nostra prima tappa, Zagabria, decidiamo di sostare qualche ora a Lubiana. Per cui, dopo essere partiti alle quattro del mattino ed essere prima stati ammaliati da una caleidoscopica alba autostradale #nofilter, veniamo poi accecati dal sole che conferma di sorgere ad est, e cazzo se lo conferma. Della serie: per almeno mezzora non ci ho visto una beneamata minchia.
Quindi, dopo aver barattato la partenza intelligente con una coda ignorante all'ultimo autogrill friulano per comprare "la vignetta", vale a dire il salvacondotto per le autostrade slovene, sconfiniamo tra percorsi splendidi e boschi rigogliosi e, in men che non si dica, raggiungiamo Lubiana. Ne vale la pena. Le impressioni sono di una città a forma austro-ungarica e a sostanza tendenzialmente italiana. Emblematico è il nome di un caffè nella piazza principale: Kapuciner, grammatica crucca e aroma de noantri.

Uno scorcio del fiume Ljubljanica che attraversa la città

L'architettura ricorda quella delle grandi città austriache o bavaresi, con la differenza che in giro non c'è odore di crauti, wurstel o patate lesse stracotte fuori e crude dentro, ma di frittura di pesce e birra Lasko. Non me lo faccio ripetere due volte: ne approfittiamo.

La frittura migliore al mondo: ore 10.30 del mattino

La cordialità, poi, non è nemmeno lontana parente di quella d'oltralpe (con l'accezione tirolese o bavarese), anzi: se ci fosse un modo per definire questa gente, direi che si tratti di italiani dell'est, del profondo est ma pur sempre italiani, con una spiccata predisposizione ad intrattenersi con gli avventori e a scambiare con loro qualche parola. 

Lasciata la Capitale slovena, puntiamo a oriente, in direzione Croazia, che raggiungiamo dopo esserci fermati per un caffè nel bel mezzo del niente, al bar Evropa, che non so perché si chiami così, dato che è ideologicamente a metà strada tra il Kentucky di Dorothy del Mago di Oz (questo è infatti ciò che ci suggerisce il panorama intorno) e una più che labile memoria della Jugoslavia che fu (rappresentata invece dai fazzoletti filo-sovietici con cui le vecchie contadine del posto si raccolgono ancora i capelli).


ZAGABRIA

Arriviamo nella Capitale croata a pomeriggio inoltrato e, tempo di una siesta, usciamo a cena. Sfruttiamo il cambio favorevole (finalmente capisco come si sentivano i tedeschi ai tempi d'oro del "Marco in Riviera") per cenare al ristorante. I primi e la carne, seppur abbondantemente salati e conditi, sono gustosi e, per il prezzo pagato, meriterebbero un secondo assaggio. Purtroppo però non sosteremo qui più di una notte.
Diamo uno sguardo alla Lonely Planet -che più che una guida sembra un romanzo di genere- per decidere dove dirigerci e, magno cum stupore, scopriamo che tra le mete indicate risulta esserci il nostro hotel, una prestigiosa ed antica struttura costruita per ospitare i passeggeri dell'Orient Express, ovvero Re, governanti, politici (e, giustamente, con qualche secolo di ritardo: noi) quando Zagabria non ne era altro che una piccola tappa di passaggio. Ecco spiegato come mai ci abbiano parcheggiato la macchina, portato in camera le valigie e fatto intendere che qualche "tip" non sarebbe stata disdegnata (ti ho dato 10 euro, ti ci fai serata, amico mio!) nonostante io fossi vestito con la classica camicia da grigliata e donna Ilenia fosse travestita da Panariello al Bagno Maria. Bella botta di culo aver trovato l'offerta del secolo, perché di essere serviti e riveriti come fossimo alti regnanti non ci succederà mai più.

Diciamo che ho dormito in posti peggiori



È sabato 16 agosto e, sarà perché è sera o perché gli abitanti sono al mare ma la città è deserta e anche un po' scura. Intere strade non sono illuminate e, a parte la piazza principale, l'unica via in cui c'è un po' di movida si chiama Tkalciceva Ulica, piena di giovani, di localini e di birre da 0,50 che costano solamente l'equivalente di venti centesimi in più rispetto a quelle da 0,33: un mistero della fede, tanto inspiegabile quanto magnifico.
Fatta serata, torniamo al nostro lussuosissimo hotel, all'interno del quale, nella celebre ballroom, sono in corso i festeggiamenti di un matrimonio appena celebrato. Fossimo in Italia non ci penserei due volte ad imbucarmici ma il luogo comune del "Spaco botilia uccido familia" è abbastanza pressante e mi dissuade dal farlo.

L'indomani mattina, la colazione è luculliana e, solamente quando il caposala, dopo averci squadrato per tutto il tempo neanche fossimo due scappati di casa, ci rassicura:"Mmm... yes, your continental breakfast is included", parole che suonano come una formula magica, ci alleggerisce il cuore e non il portafoglio come temevamo.

Non succederà più (tra l'altro pezzo della vacanza)

Scattata qualche foto in Jelacica Trg, visitiamo la Torre Lotrscak proprio quando dal suo interno viene esploso un colpo di cannone, che qui è una ritualità dato che ciò avviene ogni giorno a mezzodì; dedichiamo qualche ora al Museum of Broken Relationships, interessantissimo spazio artistico dove vengono raccolti i cimeli delle storie finite male, donati dai cuori infranti di tutto il mondo, e ci prendiamo tempo per una passeggiata lungo i viali. Da queste parti non si dice "fare una vasca" come da noi, c'è un nome e un cerimoniale preciso: "Spica". Ci si ferma in un qualche bar per sorseggiare una karlovacko o bersi un caffè, ci si prende un break e si contempla il passeggio.
Rimangono di impossibile comprensione due cose:
1) I baracchini di ambulanti che smerciano pannocchie grigliate, assiepati in ogni vicolo della città;
2) Alberto Camerini in filodiffusione lungo le vie della Spica.

Jelacica Trg


A corti discorsi Zagabria è una capitale tascabile che si gira in una mattinata, è un incrocio tra ambizione da grande città europea e malcelata provincialità. In generale mi colpisce meno di Lubiana. Non so, forse è l'eccessiva razionalità di alcuni edifici socialisti che hanno inevitabilmente appesantito le linee altrimenti aggraziate dell'architettura asburgica, o il modo di fare della gente, più grigia di quella slovena, un po' più fredda e distaccata, ma come città non mi finisce. Comunque sia, la mettiamo sulla mappa e procediamo oltre.


PLITVICE

Il tour prevede una sosta di due notti presso i laghi di Plitvice.

Where to?
Penny's way in Plitvice's lakes. Give me a map and a Karlovacko and everything is dobro!

Raggiungerli si rivela una fatica di Sisifo. Il navigatore ci conduce off the beaten roads lungo una strada tortuosa che attraversa quelle che, con tutta probabilità, sono state zone di guerra. I nostri sospetti al riguardo diventano conferme quando prestiamo attenzione agli edifici intorno. I muri di qualche casa sono ancora smitragliati e dal colore di alcuni tetti si intuisce che, al tempo, diverse abitazioni furono incendiate. È impressionante e anche un po' angosciante: è passato un ventennio ma per quelle costruzioni semidistrutte il tempo sembra essersi fermato alla metà degli anni '90. Certo, se il navigatore non ci avesse indicato questa strada di merda che stiamo iniziando ad odiare, ne avremmo percorso una molto più agevole e serena (della cui esistenza avremmo scoperto solo due giorni dopo, li mortacci), ma non avremmo fatto caso ai segni della guerra e la mia curiosità non si sarebbe accesa.
Infatti, arrivati al nostro albergo dopo lungo peregrinare e diversi "Good luck" da parte delle persone cui chiedevamo informazioni riguardo alla strada, mi documento e scopro che la prima vittima della guerra di indipendenza croata si ebbe proprio qui, a Plitvice, luogo che i serbi occuparono convertendo tutti gli alberghi e gli alloggi della zona in caserme e basi provvisorie.
Più ci penso e più mi fa strano: queste cose mi avevano sfiorato quand'ero un adolescente e le sentivo commentare al telegiornale quasi fossero notizie che provenivano da un altro pianeta. Mi tornano alla mente i temi a contenuto di attualità che la nostra professoressa del tempo ci faceva scrivere e mando un messaggio al mio amico Checco, compagno di Liceo. Son passati nemmeno vent'anni, il tempo di una generazione: tanto basta perché la storia di ieri venga considerata preistoria moderna. Il solo pensarci è quasi più scioccante dell'aver visto le case semidistrutte ai lati della strada.

Mangiamo due ciabatte nel ristorante dell'hotel, prendiamo un digestivo presso il barettino e non riesco a trattenere un sorriso nel leggere la scritta sopra il bicchiere in cui versano una generosa quantità di Jagermeister: "18 Isola Bella", nome di un liquore che in Italia deve essersi estinto almeno quarant'anni fa insieme all'Amaro Cora, al Punt e mes e allo Stravecchio Branca.

Minuto 29'22"

Ci accorgiamo che qui è pieno di turisti, molti di questi sono italiani, tedeschi e, non mi spiego come, asiatici. Usciamo all'aria aperta per fumare una sigaretta e la prima cosa che sentiamo pronunciare è:"Vacca boia, ec fradd!". È una signora che capiamo essere di Bologna, anche lei in gita a Plitvice insieme ad alcuni amici.

Il giorno successivo, la visita dei laghi ci lascia senza fiato.

I luoghi (per niente famosi) del Crauti - Western. Sì, è esistito davvero un filone cinematografico chiamato così

I laghi di Plitvice sono in assoluto una delle cose più belle che abbia mai visto, quando si dice:"gli effetti speciali ce li mette il Creatore". Al di là della storia che ho constatato essere stata derubricata (a ragione o per mera convenienza) tra le cose brutte da non ricordare, la natura è paradisiaca. Cielo, terra e acqua hanno tutti i colori del pantone. L'unica pecca sono i turisti che rendono impercorribili le splendide ma strette passerelle di legno che attraversano boschi, cascatelle, piccoli ruscelli collegando tra loro i vari laghi. Sembra d'essere al Grandemilia alla Vigilia di Natale, con l'aggravante presenza di coglioni che girano con la go-pro e scattano foto ogni tre per due. Se si considera che già io non ci vedo una mazza, le passerelle sono scivolose perché sono sapientemente costruire a filo dell'acqua, si cammina in fila indiana e ogni quattro passi diventano tutti fotografi, è un mezzo miracolo se non vado a sbattere contro chi mi precede, finendo dentro ai laghi.
Noi ridiamo, ma c'è gente che davvero gira con un bastone attaccato a una specie di macchina fotografica e si sente autorizzato a spaccare il cazzo al mondo intero, roba che se glielo prendo, quel bastone, glielo infilo su per il culo.

Senza colpo d'occhio...

La folla di visitatori è sconcertante.
Sento le parlate di molte regioni italiane, è pieno di ragazze giapponesi (che m'accorgo essere più belle su Youjizz che dal vivo), di turiste slave (belle davvero, l'unico peccato è che siano vestite) di tedeschi dall'immancabile accoppiata calze bianche e infradito e qualche ammerreggano. I gestori del posto hanno disseminato alcuni punti di ristoro dove la birra costa meno dell'acqua e viene arrostita qualsiasi cosa possa essere grigliata: gente saggia e premurosa che ha capito che anche la lungimiranza non si improvvisa e può divenire un capolavoro quando significa intuire che i visitatori possano sentirsi improvvisamente affamati davanti ad uno spiedo di porchetta.

Se magna!

L'ultima sera chiediamo ragguagli circa qualche bel locale dove poter cenare, data la cattiva esperienza del ristorante interno all'albergo. Di tutta risposta, uno dei due portieri esibisce un truffaldino sorriso a centoquarantacinque denti e ci consiglia una festa in una città vicina. Gli chiedo perché accompagni l'imbeccata con un ghigno demoniaco che lo fa sembrare Iggy Pop e la replica:"Grande fiesta, ciè tuto, alcol ragaze bumbum" rimette in circolo il mio non ancora sopito luogo comune del "Spaco botilia uccido familia" dissuadendomi dal seguire il suo gentile consiglio.

"Nota bene" a margine. Tutti quanti, esclusi gli italiani, parlano in inglese cento volte meglio di me. E, quel che fa ridere è che, per non so quale mio difetto di pronuncia, a stretto giro mi confondono per spagnolo (eh vabbè), portoghese (prego?), tedesco (mazet!) e inglese (thank you, you're very kind  but I'm not).


NOVI VINODOLSKI - MARE

Infine il mare.

Giocavamo a carte contro un tizio del posto. C'eravamo giocati l'orologio e avevamo perso tutto. Poi l'ultima mano e il tizio si gioca la casa al mare qui a Novi. Perde. Diciamo che vabbè, fa lo stesso, ci basta riavere indietro le nostre cose, in fondo è un gioco, che si tenga la casa. Lui non accetta, ha perso e la casa al mare diventa nostra. Torniamo in Italia, sentiamo dai Carabinieri come ci si deve comportare in questi casi e ci rispondono che è tutto ok, che il tizio è un signore ricco sfondato che gioca fino a perdere di proposito, non siamo i primi cui "regala" una delle tante case al mare, non saremo gli ultimi.
Peccato fosse "il sogno dell'Ile e non la realtà".

Data la pessima avventura lungo la strada di guerra, decidiamo che la traversata dall'entroterra verso il mare debba avvenire nel rispetto di un itinerario ben pianificato con precisi tempi da rispettare.
Così è o dovrebbe essere ma non ci pare e decidiamo quindi di non prendere nessuna autostrada e procedere alla cazzo di cane, puntando paese dopo paese fino alle coste del Quarnaro, tanto il tempo is on our side. Ci dice bene e arriviamo a Novi Vinodolski.
Lungi da me sbabbelare una serie di stronzate clamorose alla  "Cono 5 stelle Sammontana" (anche perché solo a sentire la parola cinquestelle mi viene l'orticaria), ma descrivere la settimana a Novi Vinodolski costerebbe troppa fatica e forse non ne varrebbe nemmeno la pena. Meglio un elenco scoordinato, contorto e pesante come nemmeno un flusso di coscienza di James Joyce avrebbe potuto essere.

Mediterraneo - Una faccia una razza

Il Mare è Nostrum anche da questa parte ma qui si vede il fondo, forse perché non ci sfocia il Po. Il tavolo e le sedie accuratamente appostati all'ombra in riva al mare dove i vecchi giocano a carte quando fa sera. Verde, sole, scogli e blu, sembra d'essere dentro "Mediterraneo" e come ha detto il mio amico Santu io ho del "Claudio Bisio". Barche, simil-pedalò e catamarani-rock popolano l'acqua che risplende alla luce del sole, quasi fosse un naturale gioco di specchi tra cielo e mare. Addormentarsi sul lettino e scorreggiare senza rendersene conto: ufficiale, sto diventando un vecchio di merda ma che gusto! Cercare il largo col materassino e il degno corollario di ustionata scontata: regolare. Running lungo le viuzze sul mare: tot eter quel rispetto al miglio veloce a Maranello o al campo d'aviazione a Pavullo. Le passeggiate tra Pekera, Minimarket, bar lozzi con Karlovacko a 15 kune e Tisak (il tabaccaio: parola importantissima da ricordare). Ritrovarsi in un resort coi fantacazzi, sfruttarlo al 30% e sentirsi costantemente a disagio dati il lusso e gli agi per gente di un certo livello che non siamo di certo noi. Il sogno di donna Ilenia (da cui forse avrei fatto bene a partire per raccontare quest'ultima parte). Leggere in spiaggia, finalmente leggere, e continuare a farlo senza curarsi del tempo, senza guardare l'orologio e realizzare che si è letto in posti peggiori (tipo in treno, in aereo, in sala d'attesa in ospedale...). La bella culandrona. Abbronzarsi come quando avevo quindici anni e andavo ancora al mare con i miei genitori. Tendenza a FKK più o meno costante. Tette che sfidano apertamente le leggi di gravità. Bagnanti che sembrano baccanti in stato d'estasi. Krafen cucuritza mais pop porn.La mia mise da Pierluigi Pardo, pantaloncini da calcetto e camicia elegante. Il ristorante Luka's dove, dopo esserci andati tre sere su sei, siam diventati di casa e ci siam cavati la voglia di pesce per almeno tre estati pagando prezzi che in Italia non esisteranno mai.  Domandare quando dicono Messa (intendendo l'orario) e sentirsi rispondere:"Maybe on sundays". Grazie. Comunque son riuscito ad andarci lo stesso e l'unica cosa che ho capito è stata:"Amen". I tedeschi che vanno a mangiare la pizza alle 5 del pomeriggio: poi uno si chiede com'è che han perso due guerre. Se da queste parti ci sono stati il Socialismo più o meno reale e una serie di guerre di merda, pare che abbiano cancellato tutti quegli eventi. Quanto tempo? Cinquanta, sessant'anni? beh, pare proprio che li abbiano cancellati di netto tanto l'oro di queste coste non avrebbe preso mai macchia e avrebbe attraversato ogni epoca. Forse han fatto male, forse no. Comunque sia, a testimonianza del processo di secolarizzazione occidentale ovunque compare la scritta della Coca-Cola che, a ben pensarci, è la cosa più democratica che ci sia. La stari-grad, ossia la città alta. I mielai sulla strada verso Fiume. L'Italia. La redenta Trieste (Trst, per chi sta oltre il mutilato confine) e la sua piazza, più bella di un gol al 90'. E poi casa.

Novi Vinodolski - Starigrad


DOBRO

Ho pensato tanto, mentre scrivevo, a come avrei potuto intitolare questa sbabbelata.
Ebbene, quando ho rimesso piede a San Antonio, TX, ho contato le parole che avevo imparato durante la mia permanenza nell'Impero Austro-Ungarico. In realtà sono solo tre parole e non sono sole cuore e amore ma: hvala (grazie), karlovacko (come si sarà potuto evincere la birra nazional-popolare: the first croatian word you have to learn) e dobro.

Dobro, a seconda del momento della giornata o della situazione può voler dire:
- bene;
- bene bene;
- benissimo;
- bene ma non benissimo;
- buono/a
- Hai detto Sandro?!?
- enjoy!
- ok;
- certamente;
- prego;
- figurati;
- ciao;
- oggi fa bel tempo;
- sono 20kune;
- Anche tu conosci Sergio di Rio?
- vuoi che ti gonfi il materassino?
- la pizza la vuoi col prosciutto o senza?
- il parcheggio è là davanti e sono 10 euro al giorno ma non te lo dirò fino al check out.

Insomma, Dobro può voler significare tutto, per cui s'adatta benissimo come intestazione dell'articolo e si prende pure i titoli di coda.
Tanto mi dovevo: Croazia, dobro!

...hvala!

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