Croazia, dobro!

IMMANCABILE PREMESSA

Chi mi conosce lo sa, non sono più carabiniere e, oltre a questo, sa anche che ho comprato un taccuino ove raccogliere appunti delle mie gite fuori porta. Per cui lascio un attimo in sospeso le avventure irlandesi (ancora in attesa del tragico epilogo), per ceder spazio a quelle croate, appena vissute, trascorse tra Zagabria, Plitvice e Novi Vinodolski, riguardo cui ho scritto giusto qualcosina, tipo un'enciclopedia omnia De Agostini.


Hai un bel po' di roba lì, eh? Sì?

Mentre mi ustionavo sulle spiagge del Quarnaro ho letto un libro (che chissà quanto tempo fa avevo comprato per poi mollarlo alla polvere e a qualche sguardo distratto) che, più che un romanzo o un racconto, è un vero e proprio memoriale. Non entro nel merito di chi o di cosa parli, non è importante (per lo meno non in questo frangente), ciò che conta è che si tratta di un resoconto dettagliato di memorie e di ricordi. E non credo sia un caso che mi ci sia imbattuto proprio quando ho deciso di mettere a referto ogni cosa considerassi significativa. Perché sì, ho capito che valore abbia la scrittura delle proprie vicende, specie quando non derivano dalla routine quotidiana ma da “avventure”, più o meno grandi, no matter what.
Per assurdo è come se, non scrivendo niente, smarrissi i giorni e ne buttassi via pensieri, parole, opere e omissioni. D'accordo le foto, al naturale o rivedute e corrette by instagram, ma uno scatto, per bello che sia, non può raccontare tutto. Quante volte riguardando una fotografia si sorride, ce ne si compiace, ma non ci si ricorda di tutto quello che c'è stato dietro? Ecco, tipo.
Allora scrivo, con la speranza di essere più sintetico delle altre volte, speranza vana che, come al solito, saprò disattendere con logorroica maestria.

Ti manca un armadio dove mettere i giorni che stiamo perdendo


LUBIANA

Di autostrade di merda ce ne sono, ma come quella che passa sopra Venezia, no.

Dovendo attraversare la Slovenia per raggiungere la nostra prima tappa, Zagabria, decidiamo di sostare qualche ora a Lubiana. Per cui, dopo essere partiti alle quattro del mattino ed essere prima stati ammaliati da una caleidoscopica alba autostradale #nofilter, veniamo poi accecati dal sole che conferma di sorgere ad est, e cazzo se lo conferma. Della serie: per almeno mezzora non ci ho visto una beneamata minchia.
Quindi, dopo aver barattato la partenza intelligente con una coda ignorante all'ultimo autogrill friulano per comprare "la vignetta", vale a dire il salvacondotto per le autostrade slovene, sconfiniamo tra percorsi splendidi e boschi rigogliosi e, in men che non si dica, raggiungiamo Lubiana. Ne vale la pena. Le impressioni sono di una città a forma austro-ungarica e a sostanza tendenzialmente italiana. Emblematico è il nome di un caffè nella piazza principale: Kapuciner, grammatica crucca e aroma de noantri.

Uno scorcio del fiume Ljubljanica che attraversa la città

L'architettura ricorda quella delle grandi città austriache o bavaresi, con la differenza che in giro non c'è odore di crauti, wurstel o patate lesse stracotte fuori e crude dentro, ma di frittura di pesce e birra Lasko. Non me lo faccio ripetere due volte: ne approfittiamo.

La frittura migliore al mondo: ore 10.30 del mattino

La cordialità, poi, non è nemmeno lontana parente di quella d'oltralpe (con l'accezione tirolese o bavarese), anzi: se ci fosse un modo per definire questa gente, direi che si tratti di italiani dell'est, del profondo est ma pur sempre italiani, con una spiccata predisposizione ad intrattenersi con gli avventori e a scambiare con loro qualche parola. 

Lasciata la Capitale slovena, puntiamo a oriente, in direzione Croazia, che raggiungiamo dopo esserci fermati per un caffè nel bel mezzo del niente, al bar Evropa, che non so perché si chiami così, dato che è ideologicamente a metà strada tra il Kentucky di Dorothy del Mago di Oz (questo è infatti ciò che ci suggerisce il panorama intorno) e una più che labile memoria della Jugoslavia che fu (rappresentata invece dai fazzoletti filo-sovietici con cui le vecchie contadine del posto si raccolgono ancora i capelli).


ZAGABRIA

Arriviamo nella Capitale croata a pomeriggio inoltrato e, tempo di una siesta, usciamo a cena. Sfruttiamo il cambio favorevole (finalmente capisco come si sentivano i tedeschi ai tempi d'oro del "Marco in Riviera") per cenare al ristorante. I primi e la carne, seppur abbondantemente salati e conditi, sono gustosi e, per il prezzo pagato, meriterebbero un secondo assaggio. Purtroppo però non sosteremo qui più di una notte.
Diamo uno sguardo alla Lonely Planet -che più che una guida sembra un romanzo di genere- per decidere dove dirigerci e, magno cum stupore, scopriamo che tra le mete indicate risulta esserci il nostro hotel, una prestigiosa ed antica struttura costruita per ospitare i passeggeri dell'Orient Express, ovvero Re, governanti, politici (e, giustamente, con qualche secolo di ritardo: noi) quando Zagabria non ne era altro che una piccola tappa di passaggio. Ecco spiegato come mai ci abbiano parcheggiato la macchina, portato in camera le valigie e fatto intendere che qualche "tip" non sarebbe stata disdegnata (ti ho dato 10 euro, ti ci fai serata, amico mio!) nonostante io fossi vestito con la classica camicia da grigliata e donna Ilenia fosse travestita da Panariello al Bagno Maria. Bella botta di culo aver trovato l'offerta del secolo, perché di essere serviti e riveriti come fossimo alti regnanti non ci succederà mai più.

Diciamo che ho dormito in posti peggiori



È sabato 16 agosto e, sarà perché è sera o perché gli abitanti sono al mare ma la città è deserta e anche un po' scura. Intere strade non sono illuminate e, a parte la piazza principale, l'unica via in cui c'è un po' di movida si chiama Tkalciceva Ulica, piena di giovani, di localini e di birre da 0,50 che costano solamente l'equivalente di venti centesimi in più rispetto a quelle da 0,33: un mistero della fede, tanto inspiegabile quanto magnifico.
Fatta serata, torniamo al nostro lussuosissimo hotel, all'interno del quale, nella celebre ballroom, sono in corso i festeggiamenti di un matrimonio appena celebrato. Fossimo in Italia non ci penserei due volte ad imbucarmici ma il luogo comune del "Spaco botilia uccido familia" è abbastanza pressante e mi dissuade dal farlo.

L'indomani mattina, la colazione è luculliana e, solamente quando il caposala, dopo averci squadrato per tutto il tempo neanche fossimo due scappati di casa, ci rassicura:"Mmm... yes, your continental breakfast is included", parole che suonano come una formula magica, ci alleggerisce il cuore e non il portafoglio come temevamo.

Non succederà più (tra l'altro pezzo della vacanza)

Scattata qualche foto in Jelacica Trg, visitiamo la Torre Lotrscak proprio quando dal suo interno viene esploso un colpo di cannone, che qui è una ritualità dato che ciò avviene ogni giorno a mezzodì; dedichiamo qualche ora al Museum of Broken Relationships, interessantissimo spazio artistico dove vengono raccolti i cimeli delle storie finite male, donati dai cuori infranti di tutto il mondo, e ci prendiamo tempo per una passeggiata lungo i viali. Da queste parti non si dice "fare una vasca" come da noi, c'è un nome e un cerimoniale preciso: "Spica". Ci si ferma in un qualche bar per sorseggiare una karlovacko o bersi un caffè, ci si prende un break e si contempla il passeggio.
Rimangono di impossibile comprensione due cose:
1) I baracchini di ambulanti che smerciano pannocchie grigliate, assiepati in ogni vicolo della città;
2) Alberto Camerini in filodiffusione lungo le vie della Spica.

Jelacica Trg


A corti discorsi Zagabria è una capitale tascabile che si gira in una mattinata, è un incrocio tra ambizione da grande città europea e malcelata provincialità. In generale mi colpisce meno di Lubiana. Non so, forse è l'eccessiva razionalità di alcuni edifici socialisti che hanno inevitabilmente appesantito le linee altrimenti aggraziate dell'architettura asburgica, o il modo di fare della gente, più grigia di quella slovena, un po' più fredda e distaccata, ma come città non mi finisce. Comunque sia, la mettiamo sulla mappa e procediamo oltre.


PLITVICE

Il tour prevede una sosta di due notti presso i laghi di Plitvice.

Where to?
Penny's way in Plitvice's lakes. Give me a map and a Karlovacko and everything is dobro!

Raggiungerli si rivela una fatica di Sisifo. Il navigatore ci conduce off the beaten roads lungo una strada tortuosa che attraversa quelle che, con tutta probabilità, sono state zone di guerra. I nostri sospetti al riguardo diventano conferme quando prestiamo attenzione agli edifici intorno. I muri di qualche casa sono ancora smitragliati e dal colore di alcuni tetti si intuisce che, al tempo, diverse abitazioni furono incendiate. È impressionante e anche un po' angosciante: è passato un ventennio ma per quelle costruzioni semidistrutte il tempo sembra essersi fermato alla metà degli anni '90. Certo, se il navigatore non ci avesse indicato questa strada di merda che stiamo iniziando ad odiare, ne avremmo percorso una molto più agevole e serena (della cui esistenza avremmo scoperto solo due giorni dopo, li mortacci), ma non avremmo fatto caso ai segni della guerra e la mia curiosità non si sarebbe accesa.
Infatti, arrivati al nostro albergo dopo lungo peregrinare e diversi "Good luck" da parte delle persone cui chiedevamo informazioni riguardo alla strada, mi documento e scopro che la prima vittima della guerra di indipendenza croata si ebbe proprio qui, a Plitvice, luogo che i serbi occuparono convertendo tutti gli alberghi e gli alloggi della zona in caserme e basi provvisorie.
Più ci penso e più mi fa strano: queste cose mi avevano sfiorato quand'ero un adolescente e le sentivo commentare al telegiornale quasi fossero notizie che provenivano da un altro pianeta. Mi tornano alla mente i temi a contenuto di attualità che la nostra professoressa del tempo ci faceva scrivere e mando un messaggio al mio amico Checco, compagno di Liceo. Son passati nemmeno vent'anni, il tempo di una generazione: tanto basta perché la storia di ieri venga considerata preistoria moderna. Il solo pensarci è quasi più scioccante dell'aver visto le case semidistrutte ai lati della strada.

Mangiamo due ciabatte nel ristorante dell'hotel, prendiamo un digestivo presso il barettino e non riesco a trattenere un sorriso nel leggere la scritta sopra il bicchiere in cui versano una generosa quantità di Jagermeister: "18 Isola Bella", nome di un liquore che in Italia deve essersi estinto almeno quarant'anni fa insieme all'Amaro Cora, al Punt e mes e allo Stravecchio Branca.

Minuto 29'22"

Ci accorgiamo che qui è pieno di turisti, molti di questi sono italiani, tedeschi e, non mi spiego come, asiatici. Usciamo all'aria aperta per fumare una sigaretta e la prima cosa che sentiamo pronunciare è:"Vacca boia, ec fradd!". È una signora che capiamo essere di Bologna, anche lei in gita a Plitvice insieme ad alcuni amici.

Il giorno successivo, la visita dei laghi ci lascia senza fiato.

I luoghi (per niente famosi) del Crauti - Western. Sì, è esistito davvero un filone cinematografico chiamato così

I laghi di Plitvice sono in assoluto una delle cose più belle che abbia mai visto, quando si dice:"gli effetti speciali ce li mette il Creatore". Al di là della storia che ho constatato essere stata derubricata (a ragione o per mera convenienza) tra le cose brutte da non ricordare, la natura è paradisiaca. Cielo, terra e acqua hanno tutti i colori del pantone. L'unica pecca sono i turisti che rendono impercorribili le splendide ma strette passerelle di legno che attraversano boschi, cascatelle, piccoli ruscelli collegando tra loro i vari laghi. Sembra d'essere al Grandemilia alla Vigilia di Natale, con l'aggravante presenza di coglioni che girano con la go-pro e scattano foto ogni tre per due. Se si considera che già io non ci vedo una mazza, le passerelle sono scivolose perché sono sapientemente costruire a filo dell'acqua, si cammina in fila indiana e ogni quattro passi diventano tutti fotografi, è un mezzo miracolo se non vado a sbattere contro chi mi precede, finendo dentro ai laghi.
Noi ridiamo, ma c'è gente che davvero gira con un bastone attaccato a una specie di macchina fotografica e si sente autorizzato a spaccare il cazzo al mondo intero, roba che se glielo prendo, quel bastone, glielo infilo su per il culo.

Senza colpo d'occhio...

La folla di visitatori è sconcertante.
Sento le parlate di molte regioni italiane, è pieno di ragazze giapponesi (che m'accorgo essere più belle su Youjizz che dal vivo), di turiste slave (belle davvero, l'unico peccato è che siano vestite) di tedeschi dall'immancabile accoppiata calze bianche e infradito e qualche ammerreggano. I gestori del posto hanno disseminato alcuni punti di ristoro dove la birra costa meno dell'acqua e viene arrostita qualsiasi cosa possa essere grigliata: gente saggia e premurosa che ha capito che anche la lungimiranza non si improvvisa e può divenire un capolavoro quando significa intuire che i visitatori possano sentirsi improvvisamente affamati davanti ad uno spiedo di porchetta.

Se magna!

L'ultima sera chiediamo ragguagli circa qualche bel locale dove poter cenare, data la cattiva esperienza del ristorante interno all'albergo. Di tutta risposta, uno dei due portieri esibisce un truffaldino sorriso a centoquarantacinque denti e ci consiglia una festa in una città vicina. Gli chiedo perché accompagni l'imbeccata con un ghigno demoniaco che lo fa sembrare Iggy Pop e la replica:"Grande fiesta, ciè tuto, alcol ragaze bumbum" rimette in circolo il mio non ancora sopito luogo comune del "Spaco botilia uccido familia" dissuadendomi dal seguire il suo gentile consiglio.

"Nota bene" a margine. Tutti quanti, esclusi gli italiani, parlano in inglese cento volte meglio di me. E, quel che fa ridere è che, per non so quale mio difetto di pronuncia, a stretto giro mi confondono per spagnolo (eh vabbè), portoghese (prego?), tedesco (mazet!) e inglese (thank you, you're very kind  but I'm not).


NOVI VINODOLSKI - MARE

Infine il mare.

Giocavamo a carte contro un tizio del posto. C'eravamo giocati l'orologio e avevamo perso tutto. Poi l'ultima mano e il tizio si gioca la casa al mare qui a Novi. Perde. Diciamo che vabbè, fa lo stesso, ci basta riavere indietro le nostre cose, in fondo è un gioco, che si tenga la casa. Lui non accetta, ha perso e la casa al mare diventa nostra. Torniamo in Italia, sentiamo dai Carabinieri come ci si deve comportare in questi casi e ci rispondono che è tutto ok, che il tizio è un signore ricco sfondato che gioca fino a perdere di proposito, non siamo i primi cui "regala" una delle tante case al mare, non saremo gli ultimi.
Peccato fosse "il sogno dell'Ile e non la realtà".

Data la pessima avventura lungo la strada di guerra, decidiamo che la traversata dall'entroterra verso il mare debba avvenire nel rispetto di un itinerario ben pianificato con precisi tempi da rispettare.
Così è o dovrebbe essere ma non ci pare e decidiamo quindi di non prendere nessuna autostrada e procedere alla cazzo di cane, puntando paese dopo paese fino alle coste del Quarnaro, tanto il tempo is on our side. Ci dice bene e arriviamo a Novi Vinodolski.
Lungi da me sbabbelare una serie di stronzate clamorose alla  "Cono 5 stelle Sammontana" (anche perché solo a sentire la parola cinquestelle mi viene l'orticaria), ma descrivere la settimana a Novi Vinodolski costerebbe troppa fatica e forse non ne varrebbe nemmeno la pena. Meglio un elenco scoordinato, contorto e pesante come nemmeno un flusso di coscienza di James Joyce avrebbe potuto essere.

Mediterraneo - Una faccia una razza

Il Mare è Nostrum anche da questa parte ma qui si vede il fondo, forse perché non ci sfocia il Po. Il tavolo e le sedie accuratamente appostati all'ombra in riva al mare dove i vecchi giocano a carte quando fa sera. Verde, sole, scogli e blu, sembra d'essere dentro "Mediterraneo" e come ha detto il mio amico Santu io ho del "Claudio Bisio". Barche, simil-pedalò e catamarani-rock popolano l'acqua che risplende alla luce del sole, quasi fosse un naturale gioco di specchi tra cielo e mare. Addormentarsi sul lettino e scorreggiare senza rendersene conto: ufficiale, sto diventando un vecchio di merda ma che gusto! Cercare il largo col materassino e il degno corollario di ustionata scontata: regolare. Running lungo le viuzze sul mare: tot eter quel rispetto al miglio veloce a Maranello o al campo d'aviazione a Pavullo. Le passeggiate tra Pekera, Minimarket, bar lozzi con Karlovacko a 15 kune e Tisak (il tabaccaio: parola importantissima da ricordare). Ritrovarsi in un resort coi fantacazzi, sfruttarlo al 30% e sentirsi costantemente a disagio dati il lusso e gli agi per gente di un certo livello che non siamo di certo noi. Il sogno di donna Ilenia (da cui forse avrei fatto bene a partire per raccontare quest'ultima parte). Leggere in spiaggia, finalmente leggere, e continuare a farlo senza curarsi del tempo, senza guardare l'orologio e realizzare che si è letto in posti peggiori (tipo in treno, in aereo, in sala d'attesa in ospedale...). La bella culandrona. Abbronzarsi come quando avevo quindici anni e andavo ancora al mare con i miei genitori. Tendenza a FKK più o meno costante. Tette che sfidano apertamente le leggi di gravità. Bagnanti che sembrano baccanti in stato d'estasi. Krafen cucuritza mais pop porn.La mia mise da Pierluigi Pardo, pantaloncini da calcetto e camicia elegante. Il ristorante Luka's dove, dopo esserci andati tre sere su sei, siam diventati di casa e ci siam cavati la voglia di pesce per almeno tre estati pagando prezzi che in Italia non esisteranno mai.  Domandare quando dicono Messa (intendendo l'orario) e sentirsi rispondere:"Maybe on sundays". Grazie. Comunque son riuscito ad andarci lo stesso e l'unica cosa che ho capito è stata:"Amen". I tedeschi che vanno a mangiare la pizza alle 5 del pomeriggio: poi uno si chiede com'è che han perso due guerre. Se da queste parti ci sono stati il Socialismo più o meno reale e una serie di guerre di merda, pare che abbiano cancellato tutti quegli eventi. Quanto tempo? Cinquanta, sessant'anni? beh, pare proprio che li abbiano cancellati di netto tanto l'oro di queste coste non avrebbe preso mai macchia e avrebbe attraversato ogni epoca. Forse han fatto male, forse no. Comunque sia, a testimonianza del processo di secolarizzazione occidentale ovunque compare la scritta della Coca-Cola che, a ben pensarci, è la cosa più democratica che ci sia. La stari-grad, ossia la città alta. I mielai sulla strada verso Fiume. L'Italia. La redenta Trieste (Trst, per chi sta oltre il mutilato confine) e la sua piazza, più bella di un gol al 90'. E poi casa.

Novi Vinodolski - Starigrad


DOBRO

Ho pensato tanto, mentre scrivevo, a come avrei potuto intitolare questa sbabbelata.
Ebbene, quando ho rimesso piede a San Antonio, TX, ho contato le parole che avevo imparato durante la mia permanenza nell'Impero Austro-Ungarico. In realtà sono solo tre parole e non sono sole cuore e amore ma: hvala (grazie), karlovacko (come si sarà potuto evincere la birra nazional-popolare: the first croatian word you have to learn) e dobro.

Dobro, a seconda del momento della giornata o della situazione può voler dire:
- bene;
- bene bene;
- benissimo;
- bene ma non benissimo;
- buono/a
- Hai detto Sandro?!?
- enjoy!
- ok;
- certamente;
- prego;
- figurati;
- ciao;
- oggi fa bel tempo;
- sono 20kune;
- Anche tu conosci Sergio di Rio?
- vuoi che ti gonfi il materassino?
- la pizza la vuoi col prosciutto o senza?
- il parcheggio è là davanti e sono 10 euro al giorno ma non te lo dirò fino al check out.

Insomma, Dobro può voler significare tutto, per cui s'adatta benissimo come intestazione dell'articolo e si prende pure i titoli di coda.
Tanto mi dovevo: Croazia, dobro!

...hvala!

Irlanda, appunti di viaggio - Vol.3

A BATH IN THE OCEAN - EMOTIONAL LIFESTYLE

Accomodati sul traghetto, Bomber sbabbela circa la sua incredibile e puntuale pianificazione del viaggio:"Tutti possono organizzare un tour, ma chi è in grado di garantire che non ci siano tempi morti, come ho appena fatto io?”, e spiega “a sommi capi” come sia stato possibile raggiungere il molo nei ultimissimi minuti di recupero:”Semplice, Zeman, un emiliano accelera anche dove un milanese frenerebbe!”.

Nonostante il clima sia mite, il sole sia ancora alto e la brezza sia quasi evangelica, tollero con sufficienza questo -seppur breve- viaggio in ferry boat. Io ho il fisico da pedalò di Riccione, e il passaggio tra Mare Nostrum e Oceano Atlantico è parecchio brusco.

Ec bel ragasol

Ci avviciniamo all'isola di Inishmor e sbarchiamo. 
A parte il vento che soffia a forza Milan, il primo pensiero va ad una serie tv di qualche anno fa, chiamata Harper Island. 
Una coppia decideva di sposarsi in un isola dell'Atlantico, sulla quale erano stati invitati parenti e amici vari. Poco alla volta venivano tutti uccisi, one by one. Ecco, come idea della location, ci siamo.

Postato a caso senza nemmeno vederlo, troppa fifa.

Il Bombardiere non ricorda il nome dell'hotel e si lamenta del fatto che io abbia lasciato in macchina la stampa delle generalità dell'albergo.
"Ragazzi, è un casino: non mi ricordo come si chiama l'Hotel!"
Io e Mandela (che d'ora in poi, tanto per confondere le acque, chiameremo "Bonetti"), quindi, io e Bonetti, lo interroghiamo e cerchiamo di rassicurarlo.
"Ma come hai fatto a dimenticarti il nome dell'hotel? Ne hai prenotati tre in tutto! Non dev’essere così difficile cercare di ricordare tre nomi”
“Eh, ragazzi, non vi ho prestato troppa attenzione! Se tu, Zeman, non ti fossi dimenticato la documentazione in macchina...”
Allora gli rispondo per le rime:”Bada bene, Bubu, che qui non siamo mica in Riviera. Ci saranno otto alberghi, contando anche quelli che hanno chiuso bottega negli ultimi vent'anni! Figurati se non lo troviamo!”

Nel frattempo lo scenario è questo

Entriamo nella prima locanda wifi-dotata così che Bomber possa risalire al nome dell'hotel.
Ebbene, dopo qualche minuto, la connessione internet emette la propria sentenza:”Aran Islands Hotel”.
Io e Bonetti non vogliamo crederci: il Bombardiere aveva tirato su una ferla fuori da ogni grazia di Dio perché non ricordava questo nome. Mi vengono in mente parole che nella Bibbia non ci sono ma le tengo per me, ripeto, l'uomo-Bomber è sul conflittuale, va accettato così com'è: far le camicie ai gobbi resta un mestiere difficile.
Raggiungiamo il nostro alloggio e, appena entrati, sfoglio un orrendo opuscolo in cui pubblicizzano l'organizzazione di matrimoni. Proprio qui. Allora lo fate apposta! Altro che Aran Islands, questa è Harper Island.

Su gentile concessione della rete

Ci sistemiamo e siam pronti a cenare nel ristorante dell'albergo. Dopo due giorni full gas a livello economico, vorremmo che stasera fosse la serata “cheapermen” e riusciamo a contenere la spesa della cena ad 80 euro, con commento a margine del Bomber:”Alla fine, per una cena a base di pesce, 80 euro van benissimo!”. Filologia secca.

Ho mangiato bene, la location merita, la serata promette bene e la compagnia è eccellente. Tuttavia, non so per quale ragione, accuso una forte mancanza dell'Italia. Non è solo la gente vestita di merda (un italiano non riuscirebbe a conciarsi così male nemmeno al buio), è anche non sentire i grilli che cantano la sera, non veder nessuna collina di viti nei paraggi o aver un'improvvisa e incontenibile voglia di una spritz. Che ci volete fare? Sono un paisà come tutti quanti!

Usciamo e ci dirigiamo verso il centro di Kilronan.
Bomber è ancora carico per la cena e ne vuole assolutamente parlare con suo padre, Il Vecchio Leone. Prende il proprio cellulare anteguerra e intavola una discussione continentale con il Tugnoli Senior:”Vecchio Leone, qui ti piacerebbe, il posto è bello e fanno dei granchi giganti, sono GRANCHI ATLANTICI!” Poi, conclusa la surreale telefonata, incontra sulla propria strada tre coppie di anziani appena usciti dal ristorante, batte le mani, solleva le braccia e, ancora carico dall'esperienza dubliner domanda loro:”Hey guys, let's go dancing?!?”

Ma lo show è appena iniziato e il video che segue si commenta da solo.

Fabio Tugnoli: Emotional lifestyle

Decidiamo di rientrare non tanto perché Bomber è zuppo ma perché il portiere dell'albergo ci aveva avvertito di due grandi feste che si sarebbero tenute presso il salone dell'hotel.
In realtà tutta 'sta samana non la troviamo, ma riusciamo a comunque a importare il concetto di fab sulle isole Aran.
Mentre Bonetti persevera con le “mandelate” (voce del verbo “mandelare” ossia attaccare pezza tirando in ballo Mandela, qualsiasi sia il malcapitato) e il Bombardiere smazza birre e intavola discorsi di circostanza con chiunque gli si pari davanti, io esco un attimo a fumare. Qui è incredibile, saranno le undici di sera e c'è ancora un bagliore di luce. Non c'è freddo, o meglio, non c'è freddissimo, l'estate qui è come i granchi: ATLANTICA!


PEZZE ATLANTICHE

Accanto a me c'è un gringo, uno straniero, mi chiede:”Man, come va?” e mi attacca pezza. In verità è un vecchio di merda completamente sbronzo che sbiascica parole a caso. È ridotto così da paciugo che non riesce nemmeno a fumare. Mi chiede da dove veniamo e, as usual, rispondo:”Italy”.
Sorride e se ne esce con uno sbagliatissimo:”Fourth world”.
Gli domando di lui e scopro che è un pescatore, viene qui a sbronzarsi tutte le sere e, sopratutto, non è mai stato in Italia. Gli chiedo se uno del quarto mondo possa offrirgli una sigaretta e lui, di buon grado, accetta. Continua a bofonchiare ma sono esperto quanto basta in materia di “chiodi da sbronza”, da sapere di poter andarmene alla chetichella e che il fisherman non lo considererà come un gesto di maleducazione né se ne ricorderà l'indomani mattina.

Tuttavia la sagra dei casi umani non è ancora finita e, alle tre del mattino il Bombardiere mi scarica sulla spalla un tizio di Cork. Stessa musica introduttiva, domanda paese di provenienza ed io, dopo aver risposto “Italy”, specifico “North of Italy” per metterlo in una migliore disposizione nei miei confronti, che la fola del Fourth World mi ha lasciato un po' interdetto. Dico “Bologna”, “Modena”, ma niente. 
“Maranello, you know?”. Apriti cielo. Partendo dalla Ferrari l’omino di Cork comincia a sbabbelare di stile e motoristica italiani. E ne sta parlando con ME, che di macchine non ho mai capito un cazzo, con ME, che non saprei distinguere un motore da un mappamondo. Penso che sia davvero buffo. Quando andrò a casa e mi chiederanno che cosa ho fatto sulle Isole Aran, risponderò di aver parlato di motori, di cosa sennò?
Il ragazzo mi spiega che la motoristica italiana è eccellente, che lo stile non si discute ma che tutto il resto fa cagare. Ride e dice che dovremmo produrre automobili insieme ai ze germanz.

Ze germanz

Mi strozzo in bocca un “fuckin idiot” e continuo ad ascoltarlo. “Fix it again tomorrow”. Non capisco cosa abbia voluto dire e gli chiedo di ripetere. “It's what FIAT stand for! Fix It Again Tomorrow!”. 
“Aggiustala un'altra volta domani”: capisco una mazza di macchine, ma ci avete preso. Dovevo venire sulle isole Aran per aver una perfetta definizione delle FIAT...


OTHERWORLDINESS

Ci svegliamo un po' frastornati dalla serata appena trascorsa.
Carta “cheapermen” ce la siam giocata male.
Carta “a letto presto stasera” anche.
Carta “non ci sbronziamo” idem. Anzi, delle due, l'una: siamo molto più vicini al concetto di “ubriachi 24H” che ad una semplice parvenza di sobrietà.
Carta di credito del Bomber: non al livello del “black friday” di Dublino ma poco ci cala.

Noleggiamo le bici e decidiamo di esplorare l'isola: sarà uno dei più bei giorni della mia, e forse della nostra, vita.

Una delle migliori biciclettate ignoranti evah

Il paesaggio è inenarrabile, sembra di essere su un altro pianeta. I muretti a secco che nel Connemara -causa le punte di velocità che quello scellerato di Bomber toccava con la macchina- avevo solamente avvistato dal radar di bordo, qui mi scorrono vicini e sono a portata visiva e tattile. Sono bellissimi: un'opera d'arte semplice ma, al contempo, maestosa. 
Intorno, campi, quasi tutti frazionati da queste sottili e minute muraglie. 

Bello davvero

Mi domando come sia possibile che siano state in piedi tutto questo tempo senza mai crollare su loro stesse. È davvero come se la natura, riconoscente all'uomo dell'impegno e del rispetto della bellezza, gli abbia condonato la costruzione di queste sottili tramezze di sassi e pietre in mezzo al verde.
Ammiriamo le case dei pescatori, ognuna di un colore diverso, una azzurra, una viola, una rosa, così che dal mare ognuno di loro possa riconoscere la propria e sentirsi meno solo, così come rimaniamo colpiti dalle loro tombe, su cui, di contrappasso, i cari hanno appoggiato conchiglie, affinché l’oceano faccia parte di loro nella morte come ha fatto quand’erano in vita. 
Su altre, ma questo nessuno ce lo spiega né noi siamo troppo indiscreti nel domandarlo a chicchesia, ci sono delle schegge di vetro, di diverso colore. Chissà, forse erano sbronzoni e questi sono i resti delle loro ultime bocce.

Daje Varenne!

La giornata è splendida, il sole è alto e caldo, riusciamo ad abbronzarci: da non credere.
Tuttavia, non so, è come se dovessi rivisitare la mia teoria per cui l'Irlanda è uno stato mentale ancor prima di essere uno Stato di diritto. 
Forse è più corretto dire che l'Irlanda sia uno stato d'animo, perché sì, anche in questa bella giornata soleggiata, l'atmosfera sembra comunque pervasa da un senso di malinconia, di tristezza costante. Bonetti indovina la giusta definizione:”Qui è sempre una festa sospesa” e ha ragione. Da par mio percepisco un senso di forte contrasto tra la gioia e la goliardia dei pub di Dublino e questo scenario, in cui, d'accordo, è tutto magnifico, ma è attanagliato da un sentimento di grigiore che nasce dal profondo dell’anima di questa terra. Mai sentito così: è un'emozione insolita che non so raccontare, ma che forse trova proprio in questo mistero il suo più autentico significato. Se mi dessero un euro per descriverla con un aggettivo direi “incantata” nella sua accezione più vera. O “fatata”. Oppure andrei in prestito di una parola che in inglese indica un sentimento del genere e ne rende decisamente meglio l’idea: otherworldliness. Tra me e me sorrido perché chissà dove io posso aver pescato una parola così, quando in realtà l'ho letta in uno status del telecronista sportivo Pierluigi Pardo.

Bomber, in un raro momento di sensibilità, non ha fatto altro che dire che le parole giuste fossero:"Velocità e lentezza" e trovava in questa canzone la sua declinazione migliore.

Visitiamo un'antichissima fortezza dei first men che vissero in quest'isola, su scogliere altissime che mettono le vertigini e ammiriamo l'oceano che, quando non è frastagliato da questi immensi speroni che si levano dall'acqua, s'addolcisce su spiagge che sembrano d'argento.
Il Bomber riesce a farsi compatire inscenando un falso tuffo. Le stesse persone che avevano assistito al suo bagno nell'oceano lo riconoscono:"You are the swimmer!", e gli credono quando dice loro che si tufferà:"I do believe you!"

Il Bombardiere nel riuscitissimo tentativo di nascondere una turista


WHERE TO?

Dopo aver concluso il nostro giro ciclo-turistico e aver sudato tutto l'alcol bevuto la sera prima, concludiamo la scampagnata e viriamo verso un bar prima di imbarcarci sul traghetto che ci riporterà sulla “terra ferma”. Bonetti incappa nel suo classico momento di lost in translation, chiedendo alla bartender una Guinness con “Black orange juice”, quando in realtà voleva una birra con l'aggiunta di blackcurrant, una tipicità locale. Nell'arco della vacanza non è né sarà la sola volta che ci fa ridere. 
Chiedendo la password per la wi-fi dell'hotel sulle isole Aran, aveva capito alla reception che le lettere da digitare dovessero essere maiuscole, cioè“caps lock” quando invece le parole corrette erano “capital letters” e a Galway avrebbe chiesto un “hair-dresser”, un parrucchiere, al posto di un "hair-dryer", ovvero un phon...

Sbarchiamo, derubrichiamo le Isole Aran dalla mappa di viaggio e partiamo alla volta di Galway per l'ultima notte in Irlanda.
Colonna sonora del Bombarolo e alla prossima puntata, l'ultima di questa infinita saga.

L'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale



Irlanda, appunti di viaggio - Vol.2

DUE WEST

Il sabato è giornata di trasferimento, si noleggia la macchina e si va ad Ovest, direzione Galway e da lì Isole Aran.
Le lande che attraversiamo sono desolate ma hanno un loro perché: un po' Brianza e  un po' -immancabilmente- Devonshire.
Per almeno una cinquantina di chilometri rimango convinto che la città indicata in tutti i cartelli di uscita sia Amach, fino a quando non realizzo che "amach" altro non è se non la parola che sta per "exit" in gaelico, non tanto lingua che gli irlandesi si piccano di parlare (come credevo) ma che gode di una propria ufficialità e che in un alcuni paesi viene preferita all'inglese/irlandese; per capirci: è come se in Italia si praticasse regolarmente l'uso del latino a fianco dell'italiano.
La colonna sonora selezionata dal Bomber è piacevole nonostante mi sentirei di definire sensazionale la sua ignoranza musicale. Secondo lui, infatti, ne "Il Cielo d'Irlanda", ci si riferisce distintamente ad un presunto Re, tale Tzingali (se io e Mandela intendiamo correttamente lo spelling), per la precisione "Tzingali 'u Re", quando anche un bambino al suo primo ascolto capirebbe al volo:"zingari o re". 
Vabbè, dettagli.

"Dal Donegal alle Isole Aran, e da Dublino fino al Connemara,
dovunque tu sia, viaggiando con TZINGALI 'U RE".

Transitiamo per Galway, oggi solo tappa di passaggio, dove torneremo una volta visitate le isole Aran, e capitiamo nelle zone industriali e periferiche. Per quanto questi quartieri, anche quelli residenziali, risultino puliti e ordinati, mi riempiono di una tristezza infinita. Le case sono tutte uguali, l'una attaccata all'altra, spostate solo di qualche metro in avanti o indietro: mancano proprio di fantasia e buon gusto.
Fortunatamente però, fuori qualche chilometro, al grigio della città si sostituiscono il blu del cielo terso, il verde della campagna intorno e il viola delle panchine a lato strada: tutta un'altra atmosfera; l'aria non sa più di diesel e morte ma di vita, di mare e di fritto.


Siamo in good time e, just in case, ci fermiamo a chiedere indicazioni per Rossaveel (o, in gaelico, Ros ‘a Mhil), luogo d'imbarco del traghetto per Kilronan, il villaggio più popoloso delle isole verso cui siam diretti. Il Bombardiere ne approfitta per un snack dei suoi: chicken breast, patatine, caramelle, qualcos’altro e Sprite. Rientra in macchina con la self-confidence di chi s'appresta a percorrere la strada dell'orto, mette il pollo che gli è avanzato nel cruscotto e dichiara:"Siamo in perfetto orario, tra un quarto d'ora siamo arrivati".


LOST IN CONNEMARA

Enjoy Connemara

La strada e lo scenario sono incantevoli. 
Dapprima il paesaggio si disegna di brughiere, colline brulle appena accennate e delicate pendenze ricoperte da boschi, di cui il tocco dell'uomo ha rispettato, con un insolito giudizio, la bellezza, separandole dalla strada con muretti a secco avvolti dall'edera che, pur nella loro irregolarità, appaiono davvero armoniosi. Poi l'ambiente muta, la natura si fa più viva e rigogliosa e, tra declivi verdeggianti e lucenti specchi d'acqua, corrono branchi di cavalli e pascolano mandrie di pecore segnate di rosso e di blu (non so perché ma questo particolare mi colpisce: come rovinare la magia con sole due mani di colore).
Al netto di questi ovini transgender, mi sembra di essere dentro a "Il Signore degli Anelli", m'aspetto che da un momento all'altro saltino fuori Aragorn, gli elfi e i cavalieri di Rohan. 

No, questa foto non l'ho fatta io, andavamo troppo veloci per avere questa visuale.
L'immagine però rende benissimo l'idea.

Figuriamoci però se non riusciamo a metterci in un qualche modo nei guai. 
Sono ormai infatti passati tre quarti d'ora e dell'oceano non v'è traccia; al Bomber sovviene un ragionevole dubbio:"E se avessimo sbagliato strada? In teoria dovevamo già essere arrivati!"

Freno a mano in una piazzola di sosta, breve conciliabolo tra me, Mandela e Bomber, sguardo alla mappa e si volta gallone. Ci rendiamo conto di aver bellamente smarrito la trebisonda e attribuiamo al primo bivio sbagliato il peccato originale cui imputare il primo fallimento dell’Organizzazione Tugnoli.
We’re lost in Connemara, definitely.
Non siamo più in perfetto orario, anzi. Sono le cinque e tre quarti e dobbiamo percorrere circa una quarantina abbondante di chilometri, alle sei e mezza parte il traghetto.
Senso di impotenza, scoramento, nessuna connessione dati, insulti al tizio del chicken breast che ci ha mal consigliato: non ce la faremo mai, tutto ci dice male e a Fabione è pure passato l’appetito.

Sul perché Bomber fosse intenzionato ad andare a Clifden... Dio t'al déga. 


L'ORGANIZZAZIONE TUGNOLI

Nonostante il tempo stringa e la strada sia sconosciuta, il Bombardiere non getta la spugna e spinge la macchina full throttle, smarrendo totalmente (ammesso che ancora ce ne sia) il timore della guida a destra che inizialmente ci aveva spaventato. Io e Mandela siamo terrorizzati dalla sicumera che il nostro amico ostenta al volante: io riesco a contare i peli delle pulci nei cespugli al bordo della strada mentre Nelson, più che essere preoccupato per la nostra integrità fisica, lo è, “giustamente”, per le condizioni della macchina che, solo per carità di patria, ha ancora tutte e quattro le ruote al loro posto. Qualsiasi critica proviamo a rivolgergli, la sua risposta è sempre la stessa:”Non rompete il cazzo, guardate che bel paesaggio, enjoy! Enjoy Connemara!”
Perché sì, stiamo visitando, seppur ad un’insostenibile velocità di crociera, una regione da cui non saremmo nemmeno dovuti passare: il Connemara. 
Lo scenario è indescrivibile e provo a scattare qualche fotografia ma l’andatura del Bomber è troppo elevata; faccio appena in tempo ad accorgermi di come il territorio sia cambiato, cedendo il passo a torbiere, massi e nuvole basse.

Cominciamo a vedere qualche casa, ci stiamo avvicinando a Rossaveel, abbiamo i minuti contati ma, se tutto ci dice bene, potremmo avere qualche chance di imbarcarci. Elaboriamo un piano da “fuori in trenta secondi” e, appena avvistato il parcheggio, ci infiliamo nel primo posto libero (botta di culo tremenda, il più vicino al capanno dove ritirare i biglietti), e ci dividiamo i compiti. Mandela vola verso il traghetto, pronto ad imbastire una sceneggiata napoletana affinché non salpino, Bomber recupera i tickets e io porto le valigie, rimanendo a mo’ di elastico tra i due. 

La scena è memorabile, di quelle che racconterò ai miei figli, ai miei nipoti e a tutti quelli cui, da sbronzo, attaccherò dei chiodi esagerati alle tre del mattino.
Mentre Madiba, avanti a noi di un qualche centinaio di metri, raggiunge l’imbarcadero, io accompagno con lo sguardo la tragicomica corsa del Bomber, il cui affannoso moto è degno della migliore commedia all’italiana. 
Perde le brache, le mutande, chiede aiuto, gli cadono a terra i biglietti e rischiano di volargli via, riusciamo a fermarli con il piede prima che il vento li trascini con sé, ripartiamo, corriamo a perdifiato, Bubu riperde i pantaloni, sghignazza di gusto, sghignazza istericamente, poi, finalmente, arriviamo al pontile cui è attraccato il nostro battello. I due marinai all'imbarco, dopo aver assistito alla tragedia umana di cui ci eravamo appena resi protagonisti, ci guardano con compassione e ci suggeriscono di tenere al sicuro i biglietti di ritorno, data la fortuna che avevamo avuto nel non regalare all’oceano quelli d’andata.

Un eroe dei nostri tempi

Siamo miracolosamente a bordo: come ce l’abbiam fatta rimarrà per sempre un mistero della fede.

Siamo pronti a diventare, per qualche giorno, "Men of Aran"

Irlanda, appunti di viaggio - Vol.1

PREMESSA

I miei due compagni di ventura si sono addormentati non appena l'aereo è decollato da Dublino ed è forse stato l'unico momento, notti comprese, in cui sono stati contemporaneamente in silenzio per più di mezzora. Io ho infilato le cuffie, tirato fuori il taccuino e messo ordine agli appunti di viaggio raccolti nei quattro giorni di vacanza appena trascorsi. 
La hostess ha appena comunicato che, nonostante il ritardo iniziale di quattro ore (esticazzi), il volo s'è regolarmente svolto nelle due ore e venti previste e stiamo per atterrare a Pisa.
Che peccato, proprio ora che, superato l'impasse dell'incipit, avevo trovato il filo d'Arianna che teneva insieme i miei pensieri confusi, e la penna, nel dar loro una forma scritta, scivolava via da sola nel raccontarli.
Che peccato dover già sbarcare, potrei vergare parole fino a domattina, until the morning light, come cantava Noel Gallagher in una canzone il cui titolo, Talk Tonight, ben rispecchia -al netto di qualche più o meno accidentale lost in translation-  il mio stato d'animo.


Già, che peccato. 
Non sarebbe passata più di un'ora prima di rinnegare questo rammarico, ma ancora non potevo sapere cosa ci stava aspettando nei cieli di Pisa.


HAI VISTO MAI?

Descrivere un viaggio a Dublino e in Irlanda è inutile, più che difficile. 
Ci son state pletore di scrittori, poeti, cantanti e bloggers più o meno bravi che ci hanno già provato prima di me, e altri ancora che lo faranno. Proprio per questo conviene raccontare altro e prendere alla lettera le parole che il capogita Bomber era solito ripeterci ad ogni piè sospinto:"Io non vi organizzo un viaggio, vi regalo un'esperienza", e dipingere quindi il quadro di questi quattro giorni lasciando all'Irlanda la parte, non meno nobile, della cornice. Che se è vero, come è vero, che le esperienze si misurano in emozioni e sensazioni, io a queste non dovrei dedicare solamente un articolo del mio blog, ma un'intera ala della biblioteca di Alessandria. 

Immaginatevi di ascoltare la voce di Bomber al posto di quella di Buffa e di leggere "Io non vi organizzo un viaggio, vi regalo un'esperienza" invece di "I Mondiali hanno scandito i tempi della nostra vita e scandiranno quelli di chi verrà". Come idea di didascalia ci siamo.

Comunque sia, tolta la caldara del viaggio di avvicinamento all'Aeroporto di Pisa, gradevole solamente nel brevissimo periodo in cui il Bombardiere ci ha dato tregua tacendo per dieci minuti scarsi, l'imbarco e il volo sono abbastanza tranquilli. Viaggiare in aereo non mi piace, anzi, mi spaventa proprio e guardare verso il basso fuori dal finestrino mi mette a disagio. Tuttavia è una giornata serena e stiamo sorvolando Toscana e Liguria: difficile non avere un balzo al cuore nello scorgere le Alpi Apuane che magnificenti svettano sopra il mare della Versilia e, poco più a occidente, realizzare che le Cinque Terre sono un luogo in cui acqua, terra e cielo si incontrano quasi per magia dando vita a qualcosa di inspiegabile e meraviglioso allo stesso tempo. 

Hai visto mai… il primo sentimento di stupore misto a immediata nostalgia è dedicato al mio paese, al paese cui, seppur solo per qualche giorno, sto preferendo una scappatella irlandese.
Poi, al di là dell'arco alpino, la Francia vista dal finestrino dell'aereo è come ascoltare all'infinito "Meraviglioso" cantata dai Negramaro: bellissima ma di una noia mortale. Me ne convinco sempre di più: a questi hanno dato i campi di lavanda della Provenza e gli Aristogatti. Fine. La Francia è un esercizio di stile anche a millemila piedi di distanza.
Attraversata la Manica, per il Bomber è tutto Devonshire.

"Zeman, cosa vedi?"
"Campi. Colline basse e campi, tanti campi".
"Allora è il Devonshire".

E potrebbe davvero essere il Devonshire, non fosse che lo stesso dialogo si ripete sistematicamente ogni tre, massimo quattro minuti.
Poi, piano piano, superata l'immensa campagna del Devonshire che, davvero, sembrava non finire mai, avvistiamo Dublino, che ci accoglie sul far della sera, fresca e umida.


A NIGHT IN DUBLIN

Premetto che per descrivere Bomber non posso far altro che andare in prestito della favella dell'Avvocato Buffa, e lo farò. 

The King in the North

Sia io che l'altro compagno di viaggio, che per "esigenze formali e narrative" chiameremo "Nelson Mandela", ci accorgiamo illico et immediate che a Dublino il battito cardiaco del Bombardiere è differente e, fin dall'autobus che ci porta in città, mostra, indica, spiega, coinvolge, sembra un'audioguida. Sul perché faccia tutto questo in vernacolo toscano... non datur. 
Si muove per piazze e strade come fosse nel salotto di casa, del tempo che ha vissuto qui conserva quella lucidissima memoria muscolare che muove i suoi passi attraverso le strade e i quartieri di Dublino ma, soprattutto, che muove i nostri all'interno di una galassia di pub, da quelli più famosi in Temple Bar a quelli più laidi lungo le viuzze che tagliano la città. 
Con sguardo ribaldo e senza nemmeno mettere la quarta, entra nella fase “Got an idea, fuck'n idiot!”, e decide di attaccare nottetempo la città, offrendoci giri di pinte come se non ci fosse un domani e mettendo tutto sul “suo” conto, dove “suo” va letto tra mille virgolette.
Dublino è il suo regno: “The King in the North" è tornato a casa.
Tra una cazzata e un'altra (c'è Cisco che passa in bagno un eternità), il bilancio della prima sera è di 80 euro persi non si sa come (miei, tutti miei), un bicchiere spaccato (dal Bomber, non sarà l'ultimo), un esercente turco preso a male parole perché le patatine non erano salate e un negraccio che, poveretto, ci ha dovuto trainare in hotel con il ciclotaxi per almeno mezzo chilometro, per tre euro e cinquanta, ossia metà di quello che normalmente avrebbe richiesto.

Della città in sé non mi rimane tanto se non l'atmosfera dei pub che però, in verità, trovo molto commerciale, molto turistica. Del resto però, se vogliono sbarcare il lunario, bisogna che anche da queste parti vendano l'anima a chi ha le tasche piene di euro o a chi, come me, è Dottore e "ha l'obbligo morale di vivere al di sopra delle proprie possibilità".


A TRIP WITH THE KING IN THE NORTH

Dedichiamo la mattina successiva alla visita della città e, fortuna che l'ottima compagnia me la fa passare, perché fondamentalmente Dublino è una bella tritata di maroni.

Saint Stephen's Green
  • Saint Stephen's Green: un parco bello, ben curato ma triste. Paradossale perchè di uno spazio così verde il colore che mi rimane in testa è il grigio.
  • Queen of Tarts: Mandela ha la formidabile idea di colazionare con salmone alle dieci e mezza del mattino. Bene ma anche no.
  • Jesus SuperChrist Church, o con questo nome ci piace ricordarla: non ho annotato se si tratti della prima chiesa che abbiamo visto o della seconda, sconsacrata, all'interno della quale è stato ricavato un pub caratteristico dove ci siamo fermati per uno spuntino pomeridiano e qualche giro di birre. Primo caso: niente di chè; secondo caso: bene bene.
  • St. Patrick Cathedral: al di là dell'estetica e delle surreali ipotesi di Mandela circa la commistione tra stile gotico e romanico, va a referto solamente perché di due ragazze vestite con costumi di scena intente a recitare, una è tale quale a Sansa Stark. Cerchiamo di fotografarla insieme al nostro Stark, il Bomber, The King in the North, ma ormai è tardi e ha smesso i panni della teatrante: Sansa Stark ha finito il turno.

Winter is coming

  • Dublin Castle: bene ma non benissimo.
  • The Spire: un immenso ago che svetta in mezzo a Dublino: parliamoci chiaro, 'na merda.
  • Penney's: for typical fuckin Dublin shopping. Compro la maglietta che mi salverà la vita nei giorni che sarebbero venuti e tre paia di calze, di quelle che i vucumprà non trattano più.
  • Trinity College: un college.
  • Un Centro Commerciale con tutte le attività chiuse.


La Guinness Store House merita un capitolo a parte.

"Oh, Zè, hai visto le botti?"
  1. Scena. La ragazza cui chiediamo i biglietti è molto kind, ci guarda e ride. Mentre Bomber chiede informazioni di vario titolo, Mandela mi guarda:”Ma cazzo ride, guardala Zeman, che cazzo ha da ridere?”. Lei continua a studiarci, a temporeggiare con Bomber e a sorriderci. “No, davvero, Zeman, cos'ha da ridere?” Poi Bomber domanda il conto dei tre biglietti e lei lo interrompe:”Where are you from?”. Rispondiamo d'essere italiani e lei conclude nella lingua di Dante:”Allora sono 54 euro”. La ragazza è di Verona e aveva riso tutto il tempo perché aveva capito ogni parola che avevamo pronunciato, specie quelle riguardo a lei. Specifichiamo di essere di Maranello, paese che lei non conosce. Oh zia, è quasi la Capitale, cazzo hai ridere?
  2. Il tour del museo è  da “zero a zero”: l'unica parte interessante è quella su cui i miei compagni di viaggio mi costringonono a soffermarmi ossia la costruzione delle botti. Non so perché ma me lo ripetono cinque volte, prima che, estenuato, decida di approfondire la cosa. In effetti è l'unica cosa che salvo della visita.
  3. Alla fine della fiera paghiamo 18 euro per una Guinness sul terrazzo da cui si vede la Capitale in tutta la sua estensione. Capiamo che, se è la stessa musica, possiamo bellamente saltare il giro al Jameson Distillery.

Il clima irlandese si spiega con un adagio che, in un'altra vita, ho sentito a Liverpool:”Non ti piace il tempo? Aspetta cinque minuti: probabilmente cambierà.”. Infatti l'Irlanda più che essere uno Stato di Diritto, è uno stato mentale. Al sole s'alternano improvvise folate di pioggia che, oltretutto, colpiscono di stravento. Mi ero sempre ripromesso che, prima o poi, con la mia giacca anti-tutto della Quechua ci sarei andato in giro e, mai come ora, sono felice di averlo fatto. Il Bombardiere invece è a proprio agio, ben tollera l'incostanza del cielo, sarà che, come uomo, “è sul conflittuale”, e ben si identifica con le mutevoli condizioni meteo di questo paese.

Nel rientrare in hotel incontriamo alcuni ragazzi in attesa di entrare ad un concerto. Ci ripassiamo davanti quando usciamo e riconosco la voce del cantante: è quella di Matt Berninger. A nemmeno cinquecento metri di distanza, oltre un muro e probabilmente dentro un parco, stanno i suonando i National. Mi mangio le mani per non aver avuto nemmeno il pensiero di informarmi circa l'eventualità che ci fossero concerti a Dublino. 
Da segnare tra i to do's della prossima trasferta.

Next time, Matt. Next time


HEY GIRLS, LET’S GO DANCING?

La serata è corsara. Entriamo in ogni pub che abbia almeno tre scranni liberi e ci premuriamo di finire tutte le pinte che il Bomber, con consumata tranquillità, continua a mettere sul nostro tavolo e sul proprio conto. Il dispiacere di aver mancato il concerto dei National passa in cavalleria quando la band del locale suona gli accordi di Wonderwall e Don't look back in anger: bene bene. Mi rimarrà sempre in testa anche una straordinaria esecuzione acustica di Wrecking ball di quella cagna di Miley Cyrus: come può anche solo venirti in mente, mio caro musicante di Dublino, di interpretare una canzone così bella ma di così elevata difficoltà?


Invece, a costo di essere impopolare tra amici e conoscenti vari, le tradizionali ballate irlandesi mi fanno veramente cagare, sono insopportabili. Più che ascoltarle è piacevole vedere le ragazze del posto che riescono a danzarle con la pinta in mano senza nemmeno versarne un goccio per terra.

Conoscere ragazzi e ragazze è molto facile. Se c'è chi attacca bottone tirando in ballo Mandela, io vado sicuro con i weltmaisters tedeschi e con la nutrita schiera di scousers (con cui, da bravo milanista, pesco dal cappello alcuni ricordi in comune di cui chiacchierare). Tuttavia se il Bombardiere padroneggia egregiamente la lingua del pardo Shakespeare, il mio concetto di rem tene verba sequentur è da rivedere: è un sì, ma con diverse sfumature di grigio. Capisco il 90% di quello che mi dicono ma mi esprimo in inglese meglio al bar di paese dopo una sbronza solenne che qui.

Dopo aver bevuto come dei bimbi piccoli dalla tetta di mamma e aver speso in una sera quello che ho speso solamente in almeno due o tre dei miei week end più ruggenti, il Bombardiè allontana lo spauracchio del letto entrando in modalità “fancy dancing?” e chiedendo ad ogni ragazza che abbia anche solo le scarpe allacciate:”Hey girl, let's go dancing???”

Maradona gioca con noi: si chiama Fabio Tugnoli

Usando un paragone calcistico, Bomber è come Maradona ai Mondiali dell'86, immarcabile e trascinante. È altresì vero che vive anche momenti da minus habens o da “Basaglia, mortacci tua!” quando, fuori dall'ultimo pub che ha la sfortuna di ospitarci, scaraventa un bicchiere tra la gente nel bel mezzo della via, dileguandosi con un:”Sorry 'bout that!” che lascia diversi m'è d'àvis in sospeso.

Prossimo episodio: viaggio verso Galway e Isole Aran.
Stay tuned...

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...