Transeuropa Express - Day 3

Un'insolita Luna di Miele di venti giorni in giro per l'Europa con la Punto.
Per l'occasione due cari amici mi hanno regalato uno splendido diario di viaggio su cui vergare i miei appunti. Nell'attesa di capire cosa farne, ho cominciato a sbobinare tutto e ho deciso di pubblicare sul blog i resoconti giornalieri delle varie città, e di farlo con cadenza casuale e indefinibile. Insieme al diario c'era anche una bussola, al cui interno era riportata una frase:"Not all those who wander are lost". Se non altro come omaggio al presente della coppia di amici, ho valutato più volte di utilizzarla come titolo ai miei scritti, ma ha prevalso quello su cui m'ero intestardito fin da subito:"Transeuropa Express", a ricordo di un sacco di cose a me molto care e che con questo viaggio avrebbero finalmente trovato una loro profondità.
Dopo il resoconto su Aosta e Parigi, momenti di citazionismo spinto che vedono avvicendarsi il Mago di Segrate, l'Inferno del Nord, "E lei venne" de Il Teatro degli Orrori, la giornalista scrittrice che ama la guerra, una raggiante autostoppista di San Dalmazio e "I did miss you" di Tyrion Lannister. In mezzo c'è Bruxelles.

Lunedì 03/08/15 – Da Parigi a Bruxelles

Nello studiare il percorso che collega le due capitali, quella francese e quella belga, mi si para davanti l’immagine del “Mago di Segrate”, ancora una volta un Diego Abatantuono d’annata, quando consiglia ad miscredente Ingegnere di diffidare del primo volo per Sidney, e di prendere quello successivo che fa la rotta Parigi-Bastogne-Liegi-Bastogne-Liegi.

Un mare tremendo, un mare forza... Forza Milan!

Scopro infatti che, più o meno lungo la strada che ci porta a Bruxelles, si trova Roubaix. Intuisco quindi che la Foresta di Arenberg non deve essere molto distante rispetto alla nostra direzione, e costringo donna Ilenia ad effettuare una deviazione ciclo-turistica. Questa selva è famosa per il tratto di selciato che l’attraversa, un tracciato in pavé di due chilometri e mezzo che rappresenta il momento più impegnativo della classica-monumento del ciclismo: la "Parigi-Roubaix", detta anche “L’inferno del Nord”.

Non sappiamo esattamente come raggiungere questa foresta. L’unica cosa che ci è nota è che si trova nei dintorni di un villaggio chiamato Wallers, nell’estremo Nord-Est della Francia, proprio al confine con il Belgio.
Giunti nel paesello, il tipico borgo francese in mezzo alla campagna, con casette ordinate dai tetti a punta, spingiamo la macchina verso quello che ci sembra essere il bosco più fitto che c’è, e sulla destra vediamo una rientranza in cui sono parcheggiate alcune automobili.

Ci son certi nomi la cui pronuncia, oltre che riempire la bocca, ha qualcosa di magico.

Ci fermiamo, scendiamo e, nonostante non sia affatto indicato o pubblicizzato in nessun modo se non con un piccolo cartello, mi si stringe un po’ il cuore: sono al cospetto di uno di quei luoghi che il ciclismo ha reso mitico, la classica invernale che più di una volta mi ha tenuto incollato alla televisione. È estate, fa un caldo infernale ma il pavè è in buona parte inscurito dell’umidità buttata su dalla macchia che ne avvolge il percorso. Con le mie scarpe di tela faccio quasi fatica a reggermi in piedi e a non blisgare. Mi è improvvisamente chiaro come è che qui i ciclisti ci lascino ginocchia, gomiti, caviglie e rotule, specie se ne misuro la larghezza, non più di tre metri.

Tanta della storia del ciclismo è stata scritta su queste pietre.
Immagine tratta dal sito http://www.velominati.com/technique/the-trench/

Sono abbastanza convinto che questa digressione del viaggio raffiguri per mia moglie qualcosa da derubricare tra le cose di cui non frega un cazzo a nessuno, ma a me è piaciuto da matti, è stato come portare un bambino alle giostre, una nullità di grande valore da raccontare a mio padre e al mio amico Busanich, il classico: ”Io l’ho visto” o anche: ”Io ci sono stato”, anche se non durante la corsa.

Ascolto consigliato: Bartali - Paolo Conte

Se vuoi andare, vai. Io aspetto Bartali.

Torniamo in macchina e puntiamo verso Bruxelles.

Il viaggio è più agevole, specie dopo essere entrati in Vallonia, dove l’assennata gente del Belgio ha reso gratuite le autostrade.
Nota di colore: ci fermiamo in un grill per mangiare qualcosa. Prendiamo qualche baguette ed un condimento che ci paia ottimo e abbondante. Ovviamente non lo troviamo ma ci facciamo andare bene l’affettato del banco frigo. L’Ilenia, mayonese-addicted, ne prende un intero tubetto, ben sapendo che non lo utilizzerà tutto. Ho come l’impressione che la compagnia dell’anello, oltre a me, mia moglie e Google Maps, abbia un nuovo membro, che ci seguirà e ci veglierà dalla tasca posteriore del seggiolino da qui alla Croazia. Ammesso e non concesso che non impazzisca prima, sia per metafora che nella realtà.

Ascolto consigliato: Tender - Blur

Una delle canzoni topiche del Matrimonio, ideale nella tracklist del viaggio

È nostro uso e costume che io percorra le tratte lunghe, quelle più estenuanti, e l’Ile entri nelle città, con consumata tranquillità, tenendo la bussola nei momenti di burrasca del traffico urbano. Come ci avrebbe detto qualcuno di molto paradigmatico, qualche migliaio di chilometri più a Sud: ”You complete each other”.

Individuato il nostro hotel, l’NH Stéphanie, nel quale, dopo averci chiesto se siamo italiani, si sforzano di parlare nella nostra lingua abbozzando uno spagnolo molto volenteroso quanto fuori luogo, usciamo alla volta del Centrum, per poterne ammirare la celebre Grand Place, chiamata anche, in flemish, Grote Markt.

Infatti, nonostante Bruxelles sia un’entità territoriale e amministrativa a sé stante, siamo nelle Fiandre ed è praticato il bilinguismo, si parla sia francese che fiammingo. Per essere una Capitale, sembra una città a misura d’uomo.

Avete presente l'Atomium? Bene, perché io non saprei cosa dirne, dato che noi non l'abbiamo visto nemmeno per sbaglio.

Nel raggiungere la stazione più vicina della metropolitana, molto più modesta e datata di quella di Parigi, mi guardo intorno e rimango stupito da un immenso graffito che campeggia sul dorso di un grande palazzo lungo Avenue Louise. Raffigura una donna nuda che si masturba ed è in bella vista, enorme ed inequivocabile.

Ascolto consigliato: E lei venne - Teatro degli Orrori

Siamo tutti tutti tutti completamente pazzi

Non sono solito formalizzarmi quasi per nulla, ma ciò che vien da chiedermi è come sia stato possibile realizzarlo senza che nessuno abbia messo al gabbio l’artista. Evidentemente una cosa così qui in Belgio non desta alcun scandalo ma solo stupore; magari è stata anche commissionata!

Da qui non si riesce ad evincere, ma trattasi di emblematico caso di "hairy pussy" tipica del german vintage 70's.
Immagine tratta da http://www.corriere.it/esteri/13_febbraio_03/graffito-bruxelles_2d3d6c44-6e15-11e2-ad59-736471fe2e30.shtml 

Scesi dalla metro e salita la scala che ci conduce all’esterno, Bruxelles si mostra in tutto il suo sfarzo. La Grand Place è meravigliosa e maestosa, si percepisce chiaramente di trovarsi in una città regale.

All'improvviso una piazza incredibile

Anche qui, come a Parigi, noto la moltitudine di ragazze e ragazzi che fanno jogging nei parchi e lungo i vialoni che tagliano la Capitale. Ancora una volta mi domando quanto possa essere bello correre a fianco di una residenza reale o negli sconfinati parchi che, con il loro verde, danno respiro alla città e la impreziosiscono con colori vivi e naturali.

Poi giusto un parchetto di collegamento tra più cose

Mentre rimango stregato dalle case delle corporazioni, dall’Hôtel de Ville (il Municipio) e dalla Maison du Roi, faccio caso ai tanti turisti arabi e di colore, e mi dedico ad alcune riflessioni, probabilmente banali ma dinnanzi alle quali mi pare quasi di aprire un terzo occhio sul mondo.

L’Occidente continentale esercita una straordinaria forza attrattiva, e questa cosa la mettiamo da parte. Nell’immaginario collettivo di un cittadino europeo non sono più i giapponesi o gli asiatici in genere a rimanere impressi, è come se fosse cambiato l’orizzonte turistico-culturale. Il passo è stato ceduto a donne e uomini dai costumi arabi o nord-africani, finemente vestiti, che conoscono le nostre città (o ne sono comunque allo stesso modo incuriositi) molto più dei visitatori che vengono dall’Estremo Oriente, tutt’altra fatta rispetto al comune vedere o sentire inculcato dai media televisivi. I chador, con cui le donne s’avvolgono il viso, sono di seta o di raso, costano più di tutti i vestiti che ho in valigia, gli occhiali che tengono sulla fronte portano i nomi delle marche più prestigiose e, infine, l’inglese che parlano è molto migliore del mio, semplice ma senza alcuna sbavatura.

Rammento che quand'ero un bambino si diceva che i giapponesi e i cinesi venissero in Europa con le loro macchine fotografiche per immagazzinare idee e successivamente replicarle nella loro patria. La sensazione è che ora, a farlo, siano i mediorientali che, dopo aver mandato in avanscoperta le proprie figlie e i propri figli a studiare nelle scuole occidentali, vengono ad informarsi, a documentarsi, a "derubare" la nostra cultura, a fare scorta dei segreti del nostro sviluppo storico e sociale.

Traggo due conclusioni di cui non frega un cazzo a nessuno.

1) Una cosa non potrà mai essere copiata o importata: il fascino del passato così gelosamente conservato dalle vecchie e grandi città europee, il retaggio della storia, prodotto unico ed inimitabile maturato in secoli di alterna cadenza di guerre e benessere, declino e rinascita.

Me lo immagino, il padrone di casa:"Se volete guardiamo la partita da me"

2) Quando due culture diverse si incontrano non dovrebbero generare attrito ma evoluzione. E, forse non a caso e/o comunque per non so quale ragione, mentre scartabello la home di facebook mi imbatto in un post polemico di un signore di Maranello, un povero coglione represso che probabilmente non va con una donna dal 1968 e che si deve sfogare manifestando la propria frustrazione verso le cose del mondo che non capisce e non gli piacciono. L'articolo che linka è un estratto de "La rabbia e l'orgoglio" di Oriana Fallaci che leggo e rileggo, stupendomi di quanto -quando uscì- la scrittrice toscana fosse completamente fuori strada, come non avesse assolutamente profetizzato il futuro e come le sue teorie riguardo il mondo arabo e le rispettive influenze su quello occidentale fossero un'accozzaglia di puttanate senza né capo né coda. Al tempo della stampa avrò avuto vent'anni o poco più e, come canta Guccini, "a vent'anni s'è stupidi davvero", per cui leggendo quelle parole avevo avuto un sussulto d'orgoglio nazional-popolare. Rileggendole ora mi sento stupido per la mia errata visione adolescenziale e  mi rammarico per la Fallaci, convenendo quasi quindici anni più tardi che Jovanotti, per quanto la canzone "Salvami" facesse cagare e non si potesse proprio ascoltare, aveva fondamentalmente centrato il punto.

Ascolto consigliato: Salvami - Jovanotti

"La giornalista scrittrice che ama la guerra perché le ricorda quand'era giovane e bella"

Qui a Bruxelles l'idea che, alla fine del film, sia la cultura occidentale ad influenzare quella araba, e che per alcune cose -per inciso le migliori, al momento- valga anche il viceversa, trova ulteriori conferme. E poi, una cosa che nessuno considera mai quando prova a predire il futuro, è che la storia se ne frega di premonizioni varie, la storia secolarizza tutto: tra cinquant'anni parleranno tutti inglese, saranno mezzi musulmani e mezzi cristiani perchè la religione sarà una moda, a Milano avranno tutti cognomi meridionali e a Berlino saranno tutti turchi di terza generazione: e nessuno si farà meraviglia di tutto questo perché sarà la normalità e più di duemila anni di storia non si saranno dimostrati fallaci.

Però due cannellate se le meritava.
Foto presa da qui.

Ciò che di negativo di Bruxelles traspare è la povertà, che stona di fronte a tutta la ricchezza sfoggiata dai palazzi, dai locali e dai monumenti della Capitale: una sorta di peccato di hybris. Ad ogni angolo di strada e vicolo si affacciano barboni, clochard, anziani, uomini e donne con bambini piccoli cui i turisti offrono la cioccolata di qualche pregevole bottega, ragazzi che si fanno compagnia con cani magri stenchi, la cui pancia dà l’idea di quando abbiano entrambi mangiato l’ultima volta.
Per chi, come me, è in viaggio di nozze, e si sente quasi in dovere di godersi la vacanza e vivere ogni giorno da signore e al di sopra delle proprie possibilità, vedere così tanta miseria è un pugno sferrato dritto al fianco della propria coscienza, ma non saprei né dire se giusto o severo. Nulla vale farsene una ragione o provare a darsene una spiegazione. È uno spettacolo orribile: presi da scrupoli superficiali ci domandiamo quanta mancia lasciare ai camerieri dei pub ma ci voltiamo dall’altra parte quando incrociamo lo sguardo supplichevole di un mendicante.

Ascolto consigliato: Melancholy Hill

In buona sostanza Bruxelles è una collina un po' malinconica ma bella

Riguardo alla popolazione locale, per quanto non sia facile distinguerla da quella turistica, i belgi mi sembrano affabili, abbastanza cordiali e simpatici. Hanno carnagione e capelli molto chiari, non vestono molto bene e si dividono, democraticamente, tra chi parla in francese e chi in fiammingo.
Cosa c'entra San Dalmazio con tutto questo? Mo' ve lo spiego.

"Grottesco perché si trattava invece di una borgata dimenticata da strade e dèi dell'urbanizzazione, afflosciata da sfumature di colori che sì, forse proprio e solamente quelli potevano ricordare la palestra in cui la Titova si era allenata da bambina. Era qualcosa di paradossale. Era come se Natalia Titova fosse divenuta la paladina della bellezza dinnanzi a tutto quella grigia decadenza, sembrava quasi invogliare i presenti e imbracciare le armi e a puntarle verso i muri incrostati delle case, e sparare: sarebbe stata legittima difesa contro il brutto e la tristezza".
Tratto da un libro che non ho mai pubblicato.

Molti anni fa, mentre percorrevo la via Vandelli in direzione di San Dalmazio, strada molto poco trafficata, mi imbattei in un’autostoppista. Era una ragazza bionda, raggiante e bellissima, che s’era trasferita dal Belgio in Italia e, sempre perché la realtà supera di gran lungo l’immaginazione, aveva trovato lavoro in un agriturismo della zona. Quel pomeriggio s’era messa in cammino verso Serramazzoni e, di tanto in tanto, quando passava qualche automobile, ne cercava il passaggio. La caricai. 
Parlava in italiano meglio di Skin e facemmo due chiacchiere.
Discutemmo delle differenze tra il mio e il suo popolo, e lei evidenziò il fatto che in Italia le persone fossero molto solari, aperte ma, allo stesso tempo troppo impulsive. Non sapendo come replicare, le dissi che forse era dovuto al troppo sole che ci picchiava in testa. Lei, di contro, rispose di non sapere cosa fosse meglio, se l’eccessivo calore che accendeva gli animi italiani o la pioggia che spegneva quelli belgi, come se il cattivo tempo si trasformasse in una meteorologia della mente, annebbiandone e confondendone i pensieri, fino a renderli grigi ed indecifrabili. Non so, sarà che qui non ha ancora piovuto ma per ora non mi sembra essere così.
La ragazza mi chiese anche che canzone fosse quella che stava passando la radio. Non lo rammento con esattezza, ma sono certo che si trattasse dei Marlene Kuntz perché disse di non riuscire ad distinguere le parole. Provai a spiegarle che era del tutto normale, essendo i loro testi molto ricercati, ma lei non capì e intese che s’esprimessero in dialetto o in una lingua locale. Cercai di chiarire meglio ma senza alcun esito. Non si fece meraviglia della cosa e aggiunse che in Belgio la differenza linguistica era una cosa molto sentita ed era quindi usuale che anche persone dello stesso paese parlassero in modo diverso.

È passato tanto tempo da quel pomeriggio e non ricordo assolutamente che canzone stesse passando in quel frangente ma mi piace pensare che fosse una intitolata, “Laura”, proprio come avrebbe potuto chiamarsi lei, la protagonista di questa divagazione estemporanea.

Ascolto consigliato: Laura - Marlene Kuntz


Visitiamo la città senza una meta precisa, schivando bellamente importanti monumenti come il Mannaken Pis e l’Atomium, ma ce ne godiamo il passeggio. Spossati, entriamo in un locale tipico, chiamato “A la mort subit”, nome che non ha bisogno di ulteriori presentazioni, fortemente sponsorizzato dal Bret, un nostro amico di Modena, che qui ha alcuni amici che viene spesso a trovare. L’atmosfera del pub è più raccolta e più intima rispetto ai bistrot parigini e, anche se il nostro tavolo è disposto di fronte alla via, riusciamo a rinfrescarci con qualche birra -molto più buona e molto più a buon mercato rispetto a quella francese- senza essere eccessivamente disturbati.

Grazie al Bret, non solo per averci suggerito dove andare ma anche perchè so che mi legge sempre (anche se perdo sempre) e per i giri di tequila a I Pini.

Scendiamo nuovamente verso la Grand Place e ci imbuchiamo lungo i vicoli che tagliano il centro della città, finendo, senza saperlo assolutamente, nel quartiere italo-ellenico. Da una parte della strada fanno bella mostra di sé trattorie italiane e pizzerie, dall’altra ristoranti e tavole calde greci. Scegliamo uno di quest’ultimi e, con soli quindici euro cad, ceniamo con pita e feta cui accompagniamo una birra locale, la Hoegarden. L’atmosfera è rallegrata da musicisti di strada che, nonostante la chiara nazionalità spagnola, intonano canzoni di ogni lingua e per tutti i gusti. In questo momento stanno suonando “Volare”. 
Fa sorridere, e allo stesso tempo pensare, che italiani, greci e spagnoli, si ritrovino insieme nello stesso posto, quasi fosse una barzelletta, al centro dell’impero europeo. O, forse, non poteva che essere così: del resto gli ultimi della classe fanno sempre comunella insieme; tra bestie ci si capisce sempre, e mi fa molto più piacere ingrassare questi, con i miei euro, piuttosto che i francesi.


Ad ogni modo questa immagine rafforza la teoria che mi son fatto riguardo Bruxelles, ovvero che si tratti davvero della Capitale de facto dell'Unione Europea, in grado, proprio come la comunità internazionale di cui è a capo, di accostare sfarzi e povertà, bellezza e necessità.

Visione consigliata: Game of Thrones 5x10 - Tyrion and Varys "I did miss you".


Lord Varys: If only. A grand old city. Choking of violence, corruption and deceit... Who could possibly have any experience of managing such a massive ungainly beast? 
Tyrion Lannister: I did miss you. 
Lord Varys: Oh I know. 

Continua...

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