Transeuropa Express - Day 1/2

Un'insolita Luna di Miele di venti giorni in giro per l'Europa con la Punto.
Per l'occasione due cari amici mi hanno regalato uno splendido diario di viaggio su cui vergare i miei appunti. Nell'attesa di capire cosa farne, ho cominciato a sbobinare tutto e ho deciso di pubblicare sul blog i resoconti giornalieri delle varie città, e di farlo con cadenza casuale e indefinibile. Insieme al diario c'era anche una bussola, al cui interno era riportata una frase:"Not all those who wander are lost". Se non altro come omaggio al presente della coppia di amici, ho valutato più volte di utilizzarla come titolo ai miei scritti, ma ha prevalso quello su cui m'ero intestardito fin da subito:"Transeuropa Express", a ricordo di un sacco di cose a me molto care e che con questo viaggio avrebbero finalmente trovato una loro profondità.
Nell'articolo che segue parlo di Parigi a modo mio con connessioni neurali particolarmente discutibili. Aristogatti, Tirzan, Enrico VIII, Litfiba, barbieri e parrucche, Mara Maionchi, la Democracia Corinthiana Club de Futebòl e l'amico Bad. Quello che rimane, monumenti inclusi, è cultura generale.

Domenica 02/08/15 – Parigi

Crema di crema alla Edgar

Devo essere onesto, per me Parigi significa pochissime cose. Una di queste è Diego Abatantuono in versione Tirzan di Eccezziunale Veramente, quando, arrivato col camion nella Capitale francese, s’esprime così al riguardo: ”Bella città, Parigi. Certo, non è Andria, non è Ascoli, non è Foggia. Però bella. Nel suo piccolo devo dire bella” e l’altra è il cartone animato degli Aristogatti. Questi sono gli unici collegamenti neurali che me la mettono in una buona luce. Diciamo quindi che non ne ho mai subito il fascino e che, non fosse stato per mia moglie, non l’avrei mai messa sulla mappa. 
Il fatto è che io volevo a tutti i costi visitare Budapest e lei andare in Francia: un grande viaggio era il solo modo per coniugare le due cose. Comunque sia non è che ora abbia particolari motivi per ricredermi su Parigi. Tuttavia voglio approfondire l’indagine della città senza pregiudizi di sorta e darle una possibilità.

Film che hanno segnato più di un'esistenza

Facciamo colazione in un tipico bistrot di fianco all’hotel.
Il caffè ovviamente sa di fosso e costa una fucilata: due euro e ottanta; anche la specialità della casa, il croissant, è da zero a zero. A referto va segnalato che sembra davvero di essere in un film di Woody Allen, in cui i protagonisti mangiano o bevono in vetrina: in vero molto romantico, una roba che profuma di belle epoque.

Che esista Parigi e che qualcuno scelga di vivere in qualunque altra parte del mondo resterà sempre un mistero per me. Cit. Gil. 
Parliamone. Anzi, siamo qui per farlo.

Lasciato il bistrot ci imbattiamo nel mercato preparato durante la notte appena trascorsa. Sono solito dire che le foto migliori sono quelle che non scattiamo ed è proprio così perché la frutta, la verdura e la carne esposte sono uno arcobaleno di colori mai visto prima.
Raggiungiamo la Metro, che qui è segnalata da un’insegna caratteristica e cerchiamo di capire l’andazzo generale. Ogni cosa qui, compreso il daily ticket -indispensabile per non aver limite di tratte od orari- è un mutuo. Potremmo salire e scendere dagli Hop on -Hop off bus che percorrono la città ma io adoro viaggiare sottoterra. Devo essere fatto al contrario: odio volare ma mi trovo completamente a mio agio underground. Sarà anche perché in metropolitana la fauna umana è nettamente più interessante. Certo è più pericolosa, meno affidabile, ma rappresenta un campionario molto più fedele di chi, una città, la vive fin da dentro le sue viscere, sia fisicamente che metaforicamente.

Tanto per non farci sentire la lontananza da casa

Non appena a bordo sale un improvvisato cantante che si guadagna da vivere esibendosi sui vagoni della metropolitana. Con il supporto di una radio che passa basi midi, canta canzoni popolari francesi, italiane e spagnole: il pezzo in cui si cimenta meglio è “Marina” di Rocco Granata. Sono anni che non sento questo brano e di certo non mi è mai mancato. La curiosità -spoiler alert- è che non sarà l’ultima volta che la sentiremo in questo viaggio di nozze. 

Prima tappa: il Louvre.
Non disponiamo del tempo per entrarvi e ci limitiamo ad ammirarlo da fuori. Ciò che impressiona è l’immensità: non ho mai visto un edificio così grande. Mi chiedo quante ore, o forse quanti giorni, possano occorrere per visitarlo tutto internamente. 

Sentirsi Dan Brown

I tempi sono ristretti e non abbiamo la possibilità di soffermarci su ogni monumento che incontriamo sulla nostra strada, per cui ci dirigiamo verso il secondo obiettivo di giornata, la Cattedrale di Notre Dame. Passeggiamo lungo La Senna, ostaggio dei turisti che intralciano la corsa dei runners, che invidio con tutto me stesso. Se va bene, io posso correre al Campo di Aviazione di Pavullo o nei percorsi preposti a Maranello, mentre gli atleti amatoriali parigini possono dilettarsi qui: senza invidia!

Foto hommmemmade

Siamo fortunati perché arriviamo in orario per la celebrazione internazionale della Messa. Non è la prima volta che mi capita di seguire una Funzione in una lingua diversa dall’italiano ma questa si rivela un’esperienza completamente diversa. La cattedrale è tenebrosa, lunga, scavata, profonda e le finestre non incamerano luce, quasi volesse nascondersi e conservare quell'alone di oscurità che tanto mi ricorda le pievi o le cappelle delle montagne delle nostre parti. Nell'aria aleggia uno spirito medievale, come se fossimo tornati indietro secoli o come se il tempo si fosse fermato all'epoca di Enrico VIII. 
C’è un cantore di blu vestito il cui ruolo è parificato, per importanza, a quello del Prete e a di chi declama le sacre letture. Al di sopra, in fondo alla navata centrale, c’è l’organista che prima della funzione si è esercitato intonando qualcosa o, più verosimilmente, ha accordato lo strumento, riscuotendo comunque gli applausi dei visitatori. 

Immagine presa da Wikipedia

Una volta la mia Professoressa di Filosofia aveva spiegato che la Messa, qualche secolo fa, veniva celebrata in latino anche nel caso in cui la maggior parte dei credenti non fosse in grado di intenderlo: ciò che contava non era la comprensione, bensì la fede. Una sorta di indulgenza culturale riservata a chi non era in grado di capire. Potremmo quasi dire di trovarci in una situazione simile, non fosse che sono stati distribuiti dei fogli protocollo in cui sono state riportate le letture, i canti, le preghiere e il Vangelo in almeno quattro o cinque lingue diverse, quelle più note in Europa, cui si aggiunge il latino. L’unica cosa che si dimostra incomprensibile è l’omelia in francese, comunque molto breve, cui ne fa subito seguito una di uguale significato in inglese.
Fa specie il momento dell’offertorio. Mi cade l’occhio sulla questua raccolta e noto la predominante presenza di monete da uno o due euro, pochissime banconote da cinque e nemmeno una da dieci. Constato quindi che Notre Dame non va di certo avanti grazie alle offerte dei fedeli, ma per tutta la paccottiglia e i souvenir venduti in fondo alla Cattedrale. Pecunia non olet: è proprio vero.

In ogni caso è stata un’esperienza straordinaria. 
Viene da chiedersi come sia possibile rimanere incantati da Notre Dame senza seguirne una celebrazione. Che senso può avere scattare qualche foto, contemplare i dipinti, le sculture o ascoltare l’organo se non si è lì per prender parte a ciò che ne è la sua stessa funzione? È un po’ come andare in uno stadio senza che giochi nessuno.

Ascolto consigliato: Madre - CCCP

Ferretti cantava certe cose nel 1989. Meravigliarsi di quel che dice adesso significa non aver seguito i CCCP se non per sentito dire.

Il nostro itinerario prevede la visita alla collina di Montmartre ma sbagliamo fermata della metropolitana e scendiamo nei pressi di Chateau Rouge. Non siamo pratici né lo possiamo sapere, ma non ci vuol un luminare della scienza per capire che si tratta in un quartiere poco raccomandabile di Parigi. Le insegne delle attività rispondono a nomi internazionali come KFC (dove andiamo a mangiare) o Costa, oppure sono quelle di street food maghrebini, indiani, turchi o cinesi. Dappertutto c’è qualcuno che vende pannocchie, noccioline, e pop corn che viene cotto in bollitori adagiati su carrelli della spesa, così che possano muoversi senza difficoltà nel caso in cui la gendarmerie passi per mandarli via o ad assicurarli in una qualche cella. 


Rimango stupito dai tanti negozi di cosmetica africana disposti uno via l’altro lungo la strada e che vendono tutti la stessa identica cosa: parrucche da donna. Scopro poi, parlandone con l’Ile, che si tratta di una pratica molto comune, diffusa in particolare tra le donne di colore, quella di sostituire la propria acconciatura con parrucche di ogni tipo e forma. Le donne nere, infatti, tendono ad avere capelli molto difficili da gestire o che si rovinano altrettanto facilmente. L’ovvia conseguenza è che intorno ai trent’anni si ritrovano costrette a correre ai ripari, cercando di sistemare la propria capigliatura e barattando parrucchiere con parrucche.


Cerchiamo un pertugio che ci porti verso Montmartre ma la moglie ha smarrito la bussola (ammesso e non concesso che ne abbia mai avuta una) mentre io mi sono perso nel guardarmi attorno. Per quanto mantenga intatto un istintivo senso dello stare in guardia e controllare sempre di avere le tasche piene dei miei valori, non riesco a non rimanere sorpreso e stordito dalla vivacità di tinte forti che dipinge questo quartiere: ci sono tutti i colori del pantone, un variopinto diorama di vita. L’unico che manca è il nostro, il mio e quello di donna Ilenia: siamo gli unici due bianchi di tutta la zona. Non mi era mai capitata una cosa del genere né avrei mai pensato potesse accadermi a Parigi. Fossimo stati in Africa avrei potuto metterlo in preventivo, ma non me lo sarei mai aspettato in una città occidentale. 

Ascolto consigliato: Sure Thing - St. Germain

Direttamente dal 1997, uno degli anni di grazia della musica, la canzone perfetta per raccontare i lquartiere di Chateau ROuge

E dire che il mio barbiere (o sarebbe meglio parlarne come di quello che mi rasa a zero la cabeza e mi corregge la barba) me lo aveva accennato. Mentre Spotify passava una canzone tra il reggae e il dub, mi aveva raccontato che quello stile gli ricordava “alcune serate balorde” che, in gioventù, aveva passato a Parigi: ”Non me lo dimenticherò mai. Io, una mia amica e, stranamente, il DJ eravamo gli unici bianchi: tutti gli altri erano di colore”. 
Beh, nemmeno io lo scorderò tanto facilmente.

Per fortuna ho ancora la barba per avere a che fare con personaggi così.

Finalmente intravediamo una strada in salita che dovrebbe portarci sulla collina di Montmartre. La percorriamo fino a raggiungere la Basilica del Sacro Cuore che si staglia, bianca candida, contro il cielo terso di Parigi. Vorremmo entrarvi o, se non altro, take a ride sul trenino che gira per il quartiere ma non abbiamo né troppo tempo né troppa voglia, risorse preziose che dobbiamo sprecare il più saggiamente possibile; e poi ci son davvero troppo turisti che rendono tutto più difficile e apprezzabile. 

Bello eh, ma 'na puzza di piscio che lasciamo proprio stare.

Questo sobborgo è noto soprattutto per gli artisti che, in altri tempi, ci vissero e da cui trassero spunto; ora, però, di tutta quell’arte è stato fatto commercio e, ancora una volta, la sostanza si è vendicata sulla poesia. Entriamo in un barettino caratteristico per concederci una pausa e approfittare dei servizi. Chiediamo due caffè: cinque euro e novantotto, questa è cattiveria, che Dio li strafulmini!

Ballo al Moulin de la Galette a Montmartre - Pierre Auguste Renoir

Quando ero adolescente uno dei miei gruppi preferiti erano i Litfiba ed una delle mie canzoni predilette s’intitolava Paname. M’ero sempre chiesto come mai buona parte del testo fosse in francese nonostante il suo nome rievocasse le atmosfere sudamericane del Panama, lo Stato ma, ancor prima, il cappello. Lo indovino a distanza di tanti anni, guardandomi intorno e osservandone il nome sulle insegne di alcuni locali. Faccio alcune ricerche e scopro che Paname è il nome informale che viene dato alla città, per via della diffusione tra i parigini, all’inizio del XX secolo, del copricapo chiamato proprio in questo modo.

Ascolto consigliato: Paname - Litfiba

"A Paname, a Paname, grognards et grenadiers sont fou de moi", una roba che io e Paolo Montagnani avremo cantato mille mila volte.

Scendiamo in direzione de La Pigalle, non prima di esserci affacciati da una terrazza da cui si gode una vista splendida sulla città, quindi raggiungiamo il Moulin Rouge, il sancta sanctorum della licenziosità parigina, e, dopo qualche foto di rito alle caratteristiche affiches, ci rimettiamo in marcia. Riprendiamo la Metro e puntiamo diritti all’Arco di Trionfo, che mi sconcerta in negativo. S’erge nel bel mezzo di una gigante rotonda intorno cui sfrecciano continuamente automobili, vanificandone ogni forma di romanticismo. Lo si può osservare dalle panchine e dagli spazi verdi disposti a lato strada ma, a meno che non si voglia dire basta alla vita, non vale la pena spingersi oltre.

Un 6+, e un + perché un + non si nega a nessuno.

Contattiamo il nostro amico Bad, d’istanza a Parigi da alcuni anni: è un rituale consolidato per chiunque di noi dell'ex-MEF, quello di intercettarlo e passare qualche tempo assieme a lui nella sua città putativa. Ci diamo la punta all’entrata del Museo Cité de l’Architecture, nelle vicinanze del Trocadéro, la terrazza panoramica da cui si può ammirare la Tour Eiffel
Sono anni che non ci vediamo e, vinto l’imbarazzo del ritrovarsi, chiacchieriamo camminando al di sotto della Torre e lungo i Campi di Marte. 

 
Sarebbe bello che da quella punta sventolasse una bandiera italiana

Mi rendo conto di quanto sarebbe stato importante conoscere, documentarsi e fare qualche ricerca prima di partire per il viaggio di nozze, così da sapere come muoversi nella città, a cosa dare la priorità di visita, come organizzare i vari spostamenti in metropolitana o in bus. Me ne rammarico tantissimo ma, oltre alla preparazione del matrimonio, c’è stato il lavoro che ci ha letteralmente disintegrato. Realizzo dunque una semplice ma assoluta verità, ossia che ogni mestiere, per quanto ci possa piacere o prenderci bene, per quanto ci possa permettere di raggiungere i nostri sogni e finanziare i nostri desideri, ci saccheggia tempo prezioso che potremmo investire in modi meno costruttivi a livello di economia domestica, ma di maggiore valore per la nostra salute e la nostra felicità.
Il lavoro dà, il lavoro toglie, specie in questi tempi di crisi in cui c’è da mangiare tanta merda e, quel che è peggio, non ce n’è nemmeno per tutti.

Insieme a Bad ci infiliamo in un vicoletto lontano dai prezzi spropositati della Capitale e beviamo qualche birra insieme, raccontandoci le vite degli altri. Quindi facciamo rotta verso il quartiere da cui siamo partiti, Place d’Italie, non molto lontano da quello in cui lavora il nostro Cicero. Mentre la metropolitana sale in superficie per un breve tratto, ci racconta che a Parigi esiste una vecchia linea ferroviaria scoperta, chiamata Petit Ceinture, in italiano “La Piccola Cintura”, molto interessante perché da quando ne è stato abbandonato l’uso nel 1934, non se n’è più fatto nulla ed è stata lasciata andare a sé stessa. Alcune stazioni sono state riconvertite in bar o ristoranti, alcuni tratti sono diventati passeggio per i parigini, altri mura per i writers, ma, prevalentemente, la linea è stata invasa da svariate specie di piante e di animali, divenendo praticamente inaccessibile.

Bad ci accompagna in un ristorante a buon mercato che conosce molto bene e di cui garantisce l’abbondanza del servizio. In effetti per mangiare il panino ordinato dobbiamo riprendere in mano la grammatica delle posate e cercare di individuare un sistema per divorarlo nella maniera più cristiana possibile, il che, in realtà, non si dimostra fattibile.

Mia facil...

Indosso la simpatica maglia della campagna elettorale del mio amico Max su cui compare il suo logo stilizzato. Il gestore, a detta di Bad, un parigino stranamente loquace ed estroverso, ne rimane affascinato e ci chiede che cosa rappresenti e se io sia disposto a vendergliela o ad indicargli dove l’ho acquistata. Sarebbe bello scattarsi una foto insieme ma non sono Gianni Morandi, il locale è affollato e non voglio rubargli troppo tempo.

Democracia Corinthiana Club de Futebol
Da sx vs dx Samuele "Bertrand" Bertacchini, Paolo "El Capitan" Lorenzi, Fabio "Cato" Tugnoli, Simone "Zeman" Ferrari, Giorgio "Il Principe/Il Truce" Mulazzi. Supervisionati dal Sindaco Max Morini

Facciamo altre due chiacchiere, ci salutiamo e facciamo un ultimo giro del quartiere prima di rientrare il albergo. 
A caldo, le mie considerazioni della prima vera tappa -Aosta è stata solamente un piccolo antipasto, una sosta zero- non sono entusiastiche. 
Fortunatamente (o, forse, sfortunatamente) non sono il Goethe che ha scritto “Viaggio in Italia”, quindi non ho l’obbligo, nemmeno morale, di parlare bene di qualsiasi cosa io veda in Europa né di condirla con stucchevole dolce stil novo.
A Parigi tutto mi è sembrato immenso: le rotonde stradali, il Louvre, i prezzi delle birre medie, dei caffè, la puzza costante di piscio, i panozzi mangiati con l’amico Bad e, non ultimo, la sporcizia, tutta l’immondizia accatastata ai lati delle strade e nel bel mezzo delle piazze. Per amor proprio e spirito di grandeur, i francesi (bassamente fiancheggiati in questo da inglesi e americani) si crogiolano nello svilire Roma e nell’evidenziarne le mancanze e i lati negativi. Non hanno certo tutti i torti ma è altrettanto vero che non hanno naso e voltano lo sguardo dall’altra parte quando girano per la propria città, perché più che chiamare Parigi La Ville Lumiere, dovrebbero soprannominarla La Ville Merdere

Le note annonarie sono da derubricare ed è davvero difficile capire come sia possibile, quantomeno per gli abitanti, vivere qui e arrivare a fine mese: viene facile pensare che siano tutti occupati nei servizi o a spennare i turisti come noi. 
I monumenti e le attrazioni principali che abbiamo visitato poi, la Tour Eiffel, l’Arco di Trionfo o il Moulin Rouge suscitano emozioni forzate, come veder qualcosa che, fondamentalmente, è tanto bello dal vivo quanto vederlo in cartolina o in una fotografia. 
Ancora, la lingua, insopportabile per le mie orecchie e il mio modo di vedere le cose. Volendo scrivere senza filtri e con l’intenzione di riportare tutto parlando pane al pane e vino al vino, il francese s’addice splendidamente bene sulle labbra di una donna ma rende tremendamente effeminato e imbarazzante anche il più rude degli uomini.
Per dirla con Mara Maionchi:”Parigi non mi è arrivata o, forse, non ci sono arrivato io”. Oppure, come credo, se non altro in base all’idea che posso essermi fatto in questi due giorni, la Capitale francese è autoreferenziale come ogni capolavoro: o ti piace all’istante, te ne innamori e ne vieni rapito, oppure l’unico rapporto che si può innescare è quello di una reciproca e debita distanza, più o meno cordiale.

Tiè!

Parlandone con il mio amico Checco, recensore pre-parto di quasi tutti i miei scritti, s’è detto d’accordo con me, ma a metà. Ha evidenziato come il poco tempo a nostra disposizione ci abbia impedito di approfondire alcuni aspetti della città a detta sua meritevoli e che avrebbero potuto intrigarmi. Ha menzionato i quartieri Marais e Bastille, i vari jardins e il canale St. Martin
Mai dire mai nella vita, magari un giorno ci ricapiterò e verrò a Canossa: in fondo Parigi val bene una Messa, come ampiamente dimostrato.

Ascolto consigliato: Macy Gray - Try


Per la serie "Canzoni dimenticate" pescate dal cilindro dei ricordi

Infine ci sono quelle cose che, per la legge dei grandi numeri, si vedono solo in una grande città perché il campionario di esseri umani è più vasto e più variegato. Cose semplici e banali che però restano in mente, davanti alle quali, nonostante trentaquattro primavere, rimango stupito come un bambino di fronte a una cosa nuove, e mi ritrovo a commentare:”È la prima volta che vedo una cosa simile”. 
Uscito da Notre Dame m’era passata davanti una ragazza che aveva un occhio verde ed uno blu, roba che nemmeno un X-Man o una spia mandata dagli alieni e, proprio ora, mentre stiamo per riconciliarci con Morfeo ci è appena transitata dinnanzi una ragazza di colore su una bici da corsa. Fa sorridere.
Per darci un tono usiamo parole complicate imparate al Liceo e poi però ci stupiamo nell’incappare in cose che sono solamente un po’ meno usuali del comune.
Quanto siamo provinciali, alla fine…

Continua...

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