Time is a flat circle, più o meno

LA PESANTEZZA DELL'INVERNO

Avere poco tempo mi spinge a capitalizzarlo al meglio, anche solo una mezzora può esser buona per uscire a correre o a fare qualche foto, leggere, scrivere, rispondere a tutti i whatsapp o le mail tenute in sospeso da non si sa quanto. 
Quando invece ne ho a disposizione finché voglio perché sono in ferie, tendo a sperperarlo, a perderlo davanti a qualche serie TV mentre pratico la nobile arte del divaning con un'intensità tale da accusare preoccupanti sintomi di piaghe da decubito. 
Credo però che sia la stagione a fare difetto, credo sia la pesantezza dell'inverno e non penso sia un caso imbattersi in canzoni che fin dalla prima pennata travalicano la comprensione della lingua, l'intrinseco significato del testo o il genere, ma ti si conficcano come un cuneo nel cuore e, sai, perché lo sai, che ti stanno raccontando della gravità opprimente del freddo, del buio avanti sera, delle strade bianche i cui suoni sono completamente ovattati dalla neve caduta intorno.

Try to stop it, try to feel something but nothing happens, I stay the same.
Is it alright to end up this way? Life gets boring, it fades away

Ma, soprattutto, è come se tutto ti costringesse a tirare le somme, a fare bilanci e, anche senza volerli fare, ci si ritrova obbligati perché da qualsiasi parte si volti lo sguardo c'è chi li sta facendo. È una morsa ineluttabile tutta stretta attorno: anche guardare fuori dalla finestra non aiuta. Giusto il tempo di accorgersi che è una bella giornata, che il sole mette di buon umore anche se fa un freddo becco, che la luce di Gennaio è più nitida, le linee d'ombra son più marcate e gli sfondi sono più dettagliati, insomma, non è niente più di una qualche ora infinitamente veloce che cala già la sera. I colori si fanno porpora, c'è odore di freddo, il tramonto sfuma a occidente con lentezza, come se fosse in debito a braci senza fine: è disincanto che viene, è magia che svanisce.
E, inaspettatamente, è la più precisa descrizione dello stato d'animo di chi osserva: una sensazione di malinconica resa. Da qualche parte ho letto che "è meglio un incendio che un cuore d'inverno": vero; il titolo di una canzone di Ligabue dice che la neve se ne frega: non so di cosa parli e non lo voglio nemmeno sapere ma il senso è quello.



APRIRE TROPPE FINESTRE

Per le ferie di Natale, mentre fuori e dentro accade tutto quello descritto poc'anzi, mi ritrovo tutti gli album da ascoltare cui non ho dedicato tempo durante l'anno appena trascorso. Necessitano di catalogazione perché sono davvero tanti e davvero diversi. Metto tutto in un mio computer-archivio-calderone, un vecchissimo Pentium III con qualche upgrade di ram e volume, i cui unici scopi di realizzazione sono rimasti quelli di memoria di media e riproduzione dei brani. 
E poi divido: Inghilterra, USA, Italia e altro (ribadisco d'essere abbastanza retrò: non ho spotify et similia, sono all'antica). Comunque sia, nell'inventariare accade sempre di pescare qualcosa di vecchio, che può essere old but gold, indimenticabile o bellamente dimenticato. Diventa allora facile lanciare quel determinato brano e sentirsi catapultati in un'altra dimensione temporale perché sì, le canzoni  riproducono emozioni rimettendo in circolo le immagini del tempo, e il passo verso le cartelle di fotografie è molto breve.
Il guaio è che quando hai vent'anni la vita appare come un percorso molto lineare privo di tracciati paralleli o laterali: per cui viste tre raccolte di foto, le hai viste tutte, sono ripetitive di default. Quando invece ne hai trenta e rotti ci si accorge d'essere rimasto fedele alla linea anche se la linea non c'è più, ma di aver camminato tanto e a lungo fuori dai sentieri battuti. Per cui le dimensioni temporali squarciate dall'ascolto di qualche canzone rischiano di diventare moltissime, le cartelle aperte un fottio.

Ho aperto troppe finestre e non so da quale buttarmi

Il costante pensiero che accompagna visioni e ascolti è:"Una vita fa, una vita e mezzo fa." 
In realtà è molto strano e paradossale: è un distaccato combattimento tra look forward e amarcord, come se ci fossero stati tanti piani quinquennali non per forza decorsi in cinque anni, che a volte son durati poco più di una stagione quasi fossero sveltine o tenere amicizie, mentre altre volte sono stati e sono tuttora rapporti che non hanno ancora esaurito la propria chimica. Probabilmente c'è qualcosa di patologico nel riportare a galla suoni, volti, paesaggi cui, un istante dopo, seguono (quasi tangibilmente) profumi, odori e sentimenti. Tuttavia, nel proprio abaco vitale, specie ora che le stagioni degli amici più cari hanno altri orizzonti, tanto fisiologici e previsti quanto apparentemente lontani, credo sia del tutto naturale strizzare l'occhio al passato e ricordare con affetto momenti che sembrano appartenere ad ere geologiche remote, distinguere le mezze tinte mai viste prima per meglio definire i contorni di presente e futuro.
Ci si aspetta sempre che i nuovi tempi siano migliori per definizione senza capire che non hanno qualità intrinseche, specie se si parte dal presupposto che solo i vecchi abbiano un buon odore di bucato. 
Per cui, per quanto è bello ricordarsi d'essere passati, sarebbe peccato dimenticare che, come direbbe Obama:"The best is yet to come" e, come diceva Giove:"Stiamo ancora passando". O per lo meno, se fosse uno status di facebook e dovessi metterci un like, ce lo metterei, se non altro per ottimismo.


DOWN IN ALBION



Proprio nel corso di una di queste catalogazioni scartabello un file chiamato "British Bootleg #3". È una raccolta di pezzi inglesi degli anni '90, alcuni nemmeno troppo famosi. Dal cancelletto e dal numero capisco e ricordo di averne fatti almeno altri due e, dopo lunghe e perigliose ricerche, individuo il peccato originale: Albion", compilazione di alcune delle più belle canzoni born and raised in UK sul finire del secolo breve. È una selezione straordinaria e non v'è pezzo cui non mi senta visceralmente legato. Non c'è alcun manierismo, nessuna hipsteria di fondo, semplicemente il racconto di almeno tre dei miei piani quinquennali attraverso le canzoni che più mi avevano spaccato la testa in quegli anni. Mi sovviene la mezza idea di fare una cosa simile a quella dei Die Genialen Dilettanten, ossia una retrospettiva su un periodo musicale che tanto ha contribuito al mio macro-mondo sonoro.

Non esiste canzone più punk di questa

Tuttavia la mezza idea non diventa intera.
L'ascolto, la riascolto, è bellissima e di ogni brano si potrebbe scrivere un trattato, ogni pennata di chitarra o ogni giro di basso sono e sono stati una lezione di esistenza, ma è tutto intriso di una forte inquietudine. Anche le canzoni allegre non sembrano più così leggere, sono più grigie, specie ora che le parole mi risultano molto più comprensibili. Negli anni successivi, a cavallo del millennio, ho ascoltato roba molto più triste e a volte molto più di merda, ma anche decisamente migliore o per lo meno più polleg e rilassante.

Tipo loro

Insomma, realizzo che per quante stagioni della vita possano trascorrere, ci sarà sempre un fondo di malinconia esistenziale racchiuso tra qualche parentesi del passato e che quindi, semplicemente, non c'è alcun bisogno di retrospettiva ma occorre solo esser pronti ad interpretare la migliore prospettiva possibile che ci si para davanti: time is a flat circle.



HAPPINESS, MORE OR LESS

Non è di certo un caso che della compilation "Albion" mi colpisca un pezzo dei Verve, forse il loro più famoso, se diciamo che "Bittersweet Symphony" fosse scopiazzata come una mia versione di latino del Liceo. La canzone è "Lucky Man" e mi arriva dritta al cuore perché meglio di ogni altra intende ciò che, credo con scarso successo, ho cercato di scrivere in questi venti milioni di righe superflue.




Ogni volta che guardavo questo video mi sorprendevo del fatto che a Londra potessero esserci giornate di sole e rimanevo impressionato, sì, impressionato è il termine giusto, dal giro di accordi: roba che nemmeno Vasco Rossi ne ha mai usati così pochi e in modo così poco originale. Ma soprattutto restavo incantato, e lo son sempre rimasto, dalle parole, facili come se a pronunciarle fosse un bambino che ha appena imparato a metterne in fila più di due alla volta, belle allora e belle ora.
La semplicità è dei grandi e quando Richard Ashcroft definisce la felicità come un piccolo cambiamento in noi e nella nostra libertà, qualcosa che viene e va non potrebbe essere più preciso o puntuale di così. A pensarci bene sembra una fase da mal parata, ma quando dice d'essere un uomo fortunato con il fuoco tra le mani (vabbè, ennesima dimostrazione che nessuna lingua andrebbe tradotta perché la rima "I'm a lucky man with fire in my hands" mira al cuore molto meglio di quanto riuscirebbe mai a fare il corrispettivo italiano) trasmette una carica di ottimismo incredibile, in grado di risollevare ogni stato d'animo e consentendo di guardare al futuro con maggiore armonia e al passato con distaccata serenità.


KILL THE MASTERS

La cosa mirabile è che queste parole non solo interpretano perfettamente il senso di prospettiva emozionale e temporale che accennavo in precedenza ma si spingono oltre. Di recente ho infatti avuto molto modo di pensare ai maestri, quelli di vita ma anche quelli di arte. Mi sono accorto che, al netto dei genitori o degli affetti più stretti, coi quali i rapporti di apprendimento o critica sono funzioni di osmosi, quelli con gli insegnanti che ci toccano o che decidiamo di adottare sono disfunzionali, quasi virulenti. Ci si attacca a loro per negatività o contrasto (dove il "per" ha l'accezione del complemento di mezzo latino), li si studia, li si analizza fino alle unghie, li si emula, poi, quando si è preso tutto quel che serve, li si abbandona, cercando nuove strade, cambiando rotta cambiando stile. È come se li si accoltellasse al fianco come Bruto con Cesare o, per riprendere il paragone precedente, li si avesse infettati fino a non averne più alcun bisogno vitale. Non è così vero che gli allievi superano i maestri, è più corretto dire che gli allievi fanno "intellettualmente" fuori i maestri, si emancipano come se prima fossero stati schiavi del pensiero dei propri padroni.


Calza a pennello un esempio di una cosa che mi è capitata ultimamente.
Dopo qualche anno il mio amico Bonetti mi ha restituito un libercolo realizzato homemade dove avevo raccolto una serie di racconti (che, per la mera cronaca, non s'è mai degnato nemmeno di sfogliare). Pensavo che non avrei mai più voluto leggerli, credevo fossero sorpassati, che lo stile mi sarebbe risultato obsoleto o, peggio ancora, indigesto. In realtà mi sono reso conto di quanto non fossero né migliori né peggiori di ciò che sono in grado di scrivere ora, semplicemente erano differenti, come se a guardare le stesse cose, i miei occhi ora ne vedessero altre sfaccettature.
Quattordicimila righe sopra ho scritto dell'importanza del rinverdire idealmente il passato per riconoscere gli sdilinquimenti nascosti, così da scontornare meglio presente e futuro. Paradosso o meno, è così anche nello stato dell'arte.

Michele Rossi, nel suo libro (da me citato nel precedente articolo) scrive di un:"...inebriante e illuminante viaggio esistenziale, la descrizione di uno spostamento di coscienza e di una trasformazione del colpo d'occhio sul mondo". Ecco, fondamentalmente avrei potuto menzionare solo questa frase, che avrei evitato di sbabbelare per tutto questo tempo. E se a questa avessi aggiunto le liriche di "Lucky Man", quel "with fire in my hands" di cui sopra, avrei chiuso il cerchio in un amen, ma senza scrivere tutto questo non avrei messo ordine tra i miei pensieri e non avrei capitalizzato al meglio il mio poco tempo, I do believe.


Non so perché ma credo che anche questo flusso di coscienza totalmente punk sia abbastanza didascalico dei miei pensieri: il mondo è vostro, la situazione è eccellente. C'entrava un cazzo ma ho appena comprato la super-raccolta dei vinili dei CCCP e da qualche parte dovevo infilarlo.

A corollario di questo articolo mi auguro buon anno, lo auguro a quei disgraziati che mi leggono e lascio la canzone che, principalmente, ha accompagnato queste profanissime scritture.




Dimenticavo: SUCARE FORTISSIMO!!!

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