Lo portai per qualche anno. A dire il vero, non ricordo neppure nell’anulare di quale mano. Rammento però che mi aveva lasciato un segno su tutto il lembo di pelle contro cui batteva. Un segno grigio, ossidato.
Le cose cambiarono, le cose finirono.
Me lo tolsi e lo rinchiusi in una scatola da scarpe insieme a tutte le altre cose che era più conveniente dimenticare. Fotografie, lettere, quaderni, pupazzetti, regali vari, braccialetti, depliant di luoghi di vacanza, biglietti di aerei, treni, alberghi, partite, concerti.
Poi quell’anello tornò buono.
Temevo di non trovarlo più, di averlo gettato per rabbia da una qualche parte, ma era ancora lì, in fondo alla scatola delle Tiger in cui l’avevo confinato.
Ma non lo misi al dito. Decisi di usarlo come ciondolo, come lo portava Frodo. Che rappresentasse un potere ed un fardello.
Oltre a questo, anche la forma doveva accompagnare la sostanza: si trattava dello stesso anello, si trattava del simbolo della stessa storia interrotta che veniva ripresa, ma che non poteva essere uguale a prima.
Devo sempre manifestare esteriormente quello che mi accade dentro. E’ in base allo stesso principio che decido come tagliarmi i capelli, come farmi la barba, quali scarpe indossare, come e quando fumare una sigaretta.
In seguito anche quella storia si chiuse.
Slacciai le cerniere del ciondolo e appoggiai l’anello su uno scaffale. Non volevo rimetterlo nella scatola da scarpe. Era diventato tale e quale all’anello di Frodo. Me lo ero tolto di dosso, ma non riuscivo a toglierlo dallo sguardo e dalla vicinanza. Dovevo saperlo mio. Portarlo mi aveva indebolito, levarmelo mi aveva distrutto; ma perderlo m’avrebbe finito e nascondendolo mi sarei tradito.
Sono riuscito a non guardarlo per tanto tempo, a dimenticarlo.
Dopo parecchi mesi. una sera, davanti al computer, sento un rumore. Un suono chiaro, inequivocabile. L’anello era caduto per terra. Era come se la mente, seppur distratta, non potesse combinare al tintinnio metallico percepito nient’altro che non fosse il suono dell’anello che sbatte contro il pavimento. Quello stesso anello che avevo lasciato per mesi sullo scaffale, di cui avevo perso memoria.
Guardo per terra sulle piastre di pavimento a vista, quelle libere dall’arredamento. Non c’è niente.
Guardo allora sullo scaffale. Non c’è nessun anello. No, mi devo essere proprio dimenticato tutto. L’avrò riposto insieme a tutte le altre cose nella scatola delle Tiger dopodichèmi sarò scordato pure di questo. Decido allora di indagare e di aprire la scatola contro tutta la voglia e con tutto il magone di questo mondo. Non c’è. Non è lì. Impossibile. Se c’è deve essere nella scatola, perché sullo scaffale non c’è, e alternative non ne rimangono.
Di nuovo osservo per terra, ma questa volta con più attenzione. Niente.
Eppure l’ho sentito, sono sicuro.
Mi rendo improvvisamente conto di quanto irreale fosse quella situazione. Stavo andando contro ogni logica. Stavo cercando qualcosa che avevo sentito cadere senza che ci fosse alcun motivo per cui potesse anche solo muoversi da dov’era. Se davvero era sullo scaffale, allora doveva essere ancora lì, non poteva essere caduto. La forza di gravità ha leggi precise. Perché l’anello cadesse sarebbe dovuto cadere anche lo scaffale. Anche le pareti, se per questo. Anche la casa, allora.
Rimane da guardare sotto i mobili. Magari è finito lì sotto. Ci guardo, ci guardo meglio, lo trovo.
E’ sporco, impolverato, scuro. A osservarlo sembra vecchio di anni. Invece racconta una storia che non è finita che da qualche mese.
Ora ricordo. E’ sempre stato sullo scaffale, come un piccolo soprammobile inutile, è sempre rimasto lì, ed essendo all’altezza del mio sguardo, l’ho visto per tutti questi mesi, ma non mi sono mai fermato a guardarlo.
Torno in me. Realizzo che l’anello è caduto senza motivo. Non era in bilico, non ha subito colpi. Non ha senso, ma è andata così. Mi sto dicendo la verità ma anche io faccia fatica a credermi sincero.
Penso dunque a un segno.
Buono? Cattivo? Per me? Per chi? Telefono? Mi informo? Chiedo? Cosa è successo? Cosa c’è dietro?
Forse niente, solo una fervida immaginazione.
Forse tutto per chi, come me, crede che niente ac-cada per caso.
Anche se la tentazione è forte decido di non fare niente, di non scomodare amici, conoscenti, affetti vecchi e nuovi, di non costruire castelli in aria. Davanti ad una circostanza illogica scelgo una via pratica.
Immaginare che niente ac-cada per caso e che semplicemente fosse ora di metterlo via, quell’anello. E chiudere quella scatola a doppia mandata, sperando che neppure quella cadesse dal suo scaffale, altrimenti dopo non avrei proprio più saputo cosa pensare.
Le cose cambiarono, le cose finirono.
Me lo tolsi e lo rinchiusi in una scatola da scarpe insieme a tutte le altre cose che era più conveniente dimenticare. Fotografie, lettere, quaderni, pupazzetti, regali vari, braccialetti, depliant di luoghi di vacanza, biglietti di aerei, treni, alberghi, partite, concerti.
Poi quell’anello tornò buono.
Temevo di non trovarlo più, di averlo gettato per rabbia da una qualche parte, ma era ancora lì, in fondo alla scatola delle Tiger in cui l’avevo confinato.
Ma non lo misi al dito. Decisi di usarlo come ciondolo, come lo portava Frodo. Che rappresentasse un potere ed un fardello.
Oltre a questo, anche la forma doveva accompagnare la sostanza: si trattava dello stesso anello, si trattava del simbolo della stessa storia interrotta che veniva ripresa, ma che non poteva essere uguale a prima.
Devo sempre manifestare esteriormente quello che mi accade dentro. E’ in base allo stesso principio che decido come tagliarmi i capelli, come farmi la barba, quali scarpe indossare, come e quando fumare una sigaretta.
In seguito anche quella storia si chiuse.
Slacciai le cerniere del ciondolo e appoggiai l’anello su uno scaffale. Non volevo rimetterlo nella scatola da scarpe. Era diventato tale e quale all’anello di Frodo. Me lo ero tolto di dosso, ma non riuscivo a toglierlo dallo sguardo e dalla vicinanza. Dovevo saperlo mio. Portarlo mi aveva indebolito, levarmelo mi aveva distrutto; ma perderlo m’avrebbe finito e nascondendolo mi sarei tradito.
Sono riuscito a non guardarlo per tanto tempo, a dimenticarlo.
Dopo parecchi mesi. una sera, davanti al computer, sento un rumore. Un suono chiaro, inequivocabile. L’anello era caduto per terra. Era come se la mente, seppur distratta, non potesse combinare al tintinnio metallico percepito nient’altro che non fosse il suono dell’anello che sbatte contro il pavimento. Quello stesso anello che avevo lasciato per mesi sullo scaffale, di cui avevo perso memoria.
Guardo per terra sulle piastre di pavimento a vista, quelle libere dall’arredamento. Non c’è niente.
Guardo allora sullo scaffale. Non c’è nessun anello. No, mi devo essere proprio dimenticato tutto. L’avrò riposto insieme a tutte le altre cose nella scatola delle Tiger dopodichèmi sarò scordato pure di questo. Decido allora di indagare e di aprire la scatola contro tutta la voglia e con tutto il magone di questo mondo. Non c’è. Non è lì. Impossibile. Se c’è deve essere nella scatola, perché sullo scaffale non c’è, e alternative non ne rimangono.
Di nuovo osservo per terra, ma questa volta con più attenzione. Niente.
Eppure l’ho sentito, sono sicuro.
Mi rendo improvvisamente conto di quanto irreale fosse quella situazione. Stavo andando contro ogni logica. Stavo cercando qualcosa che avevo sentito cadere senza che ci fosse alcun motivo per cui potesse anche solo muoversi da dov’era. Se davvero era sullo scaffale, allora doveva essere ancora lì, non poteva essere caduto. La forza di gravità ha leggi precise. Perché l’anello cadesse sarebbe dovuto cadere anche lo scaffale. Anche le pareti, se per questo. Anche la casa, allora.
Rimane da guardare sotto i mobili. Magari è finito lì sotto. Ci guardo, ci guardo meglio, lo trovo.
E’ sporco, impolverato, scuro. A osservarlo sembra vecchio di anni. Invece racconta una storia che non è finita che da qualche mese.
Ora ricordo. E’ sempre stato sullo scaffale, come un piccolo soprammobile inutile, è sempre rimasto lì, ed essendo all’altezza del mio sguardo, l’ho visto per tutti questi mesi, ma non mi sono mai fermato a guardarlo.
Torno in me. Realizzo che l’anello è caduto senza motivo. Non era in bilico, non ha subito colpi. Non ha senso, ma è andata così. Mi sto dicendo la verità ma anche io faccia fatica a credermi sincero.
Penso dunque a un segno.
Buono? Cattivo? Per me? Per chi? Telefono? Mi informo? Chiedo? Cosa è successo? Cosa c’è dietro?
Forse niente, solo una fervida immaginazione.
Forse tutto per chi, come me, crede che niente ac-cada per caso.
Anche se la tentazione è forte decido di non fare niente, di non scomodare amici, conoscenti, affetti vecchi e nuovi, di non costruire castelli in aria. Davanti ad una circostanza illogica scelgo una via pratica.
Immaginare che niente ac-cada per caso e che semplicemente fosse ora di metterlo via, quell’anello. E chiudere quella scatola a doppia mandata, sperando che neppure quella cadesse dal suo scaffale, altrimenti dopo non avrei proprio più saputo cosa pensare.
1 commento:
Questo episodio me lo raccontasti la sera che andammo a registrare da Jerry. Raccontasti il fatto con una punta di agitazione nella voce, come se parlassi di un fantasma. Non c'è niente da dire, da aggiungere, sei stato chiaro e credo di aver percepito ciò che si prova: anche io credo che niente accada per caso.
Sono felice di aver visto questo aneddoto/racconto a disposizione di tutti.
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