Thank you for the good times


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Non ho la presunzione di conoscere gli Oasis meglio di chicchessia, tuttavia non solo li ho ascoltati e suonati un numero spropositato di volte, immagazzinando quelle sfumature e quei dettagli tecnici propri del loro stile, ma si tratta anche del gruppo di cui possiedo il maggior numero di dischi, che siano album, singoli, inediti, bootleg, rare/fake, live, acustici, ibridi di ogni, e chi più ne ha più ne metta.
Solo se tirassimo in ballo Ferretti, i Litfiba, gli Afterhours, i Marlene, Elio, i Beatles, i Clash, o i Joy Division avremmo -all’interno del mio personale panorama musicale- qualcuno di altrettanto rilevante.
E non mi vergogno affatto a mettere i fratelli Gallagher al primo posto di questa mia classifica musicale e personale di gusto e affetto.
Dopo lo scioglimento, del quale non mi dichiaro affatto scontento, ho pensato di ultimare qualcosa che avevo sempre avuto intenzione di fare ma che prima, chissà perché, non avevo mai realizzato, ossia un compilazione spietata di quanto meglio sia stato da loro prodotto: un compromesso tra canzoni di cui sono sempre stato profondamente innamorato, classici irrinunciabili, cover straordinarie, gig acustiche di rara bellezza e sperimentazioni azzardate.
La selezione è stata possibile anche grazie all’aiuto di fratelli e sorelle mancunian-in-arms che sono stati al gioco attribuendo ad ogni canzone degli Oasis un voto di piacere e di merito, permettendomi di giudicare ogni cosa con attenzione e completezza. Ovviamente, qualora ci sia stato da fare scelte cruciali ed esclusioni, me ne son preso la pesante quanto piacevole responsabilità.
  1. Fuckin in the bushes. O si parte così, o non si parte.
  2. Acquiesce. Diciamocelo. Questo pezzo non mi ha mai fatto impazzire, però è il solo in cui sia Liam che Noel fanno da prima voce, rispettivamente il primo nella strofa e il secondo nel ritornello. Imprescindibile. Effimere le liriche “Because we need each other, we believe in one other…”. Be’, questo è ancora tutto da dimostrare, caro Noel.
  3. Wonderwall.Al mio primo maestro di chitarra dissi così:”Per la prossima volta io imparo il Gatto e la Volpe, così sei contento, vedi che mi impegno, che son sul pezzo. Se però, questo giro di merda di Do te lo eseguo magistralmente, tu dopo mi insegni Wonderwall.” Così fu. Fondamentalmente se suono la chitarra, il grosso merito va a questo geniale quanto banale incastro di accordi.
  4. Supersonic. Paradigmatico il video, girato sopra un palazzo che s’affaccia sulla stazione londinese di King’s Cross. Come a voler dire:”Veniamo dalla fatiscente Manchester, ci vestiamo male, la nostra tecnica è spazzatura ma ora guarderemo tutto il mondo dall’alto verso il basso.”
  5. Falling down - Chemical Brothers remix. Noel Gallagher ha sempre avuto una marcia in più. Compone un tema e poi lascia che le migliori scuole d’elettronica inglese se ne impossessino, che i Chemical Brothers e i Prodigy ne facciano remix e campionature, della serie:”Suono la chitarra in una rock’n’roll band, ma all’occorrenza potrei fare il dj in un rave a Brighton”.
  6. The shock of the lightning. L’esemplare dimostrazione di come fino al 2008 l’Inghilterra non abbia più visto un gruppo rock coi fantacazzi che sapesse suonare canzoni rock propriamente dette e non solo looppare le solite canzonacce di tendenza con cui i vari Franz Ferdinand, Bloc Party, Kaiser Chiefs del cazzo ci hanno defiitivamente rotto i coglioni. “Ciao, siamo gli Oasis. Noi abbiamo quarant’anni suonati ma facciamo cantare tutti gli stadi inglesi COME IN, COME OUT, TONITE!!! Voi altri invece fate cagare, e con un riff del cazzo ci tirate a campare. E avete vent’anni. Fottetevi, fottetetevi tutti.”
  7. Listen up. Se dei ciarlatani qualsiasi avessero mai scritto un pezzo così, a quest’ora forse conterei anche altri gruppi di riferimento nella perfida Albione. E invece stiamo parlando di uno dei tre b-sides di Cigarettes & Alcohol. Incredibile.
  8. The Masterplan. Dovevo scegliere tra questa e Don’t look back in anger. Ho scelto questa. E’ entrato in gioco l’affetto. La tirai giù ad orecchio quando avevo sedici anni (e neanche un torto) in maniera prima imbarazzante, quindi disastrosa e infine quasi pedissequa. Mi ha permesso di sopravvivere ai noiosissimi pomeriggi invernali della mia quarta liceo che altrimenti avrei passato a studiare improponibili autori latini. A ben guardare ci ho preso: di Petronio ‘Arbiter’ non ricordo un cazzo, The Masterplan la so ancora suonare alla perfezione. Evidentemente, se il test of time ha privilegiato il ricordo della seconda, un motivo c’è.
  9. Cigarettes & Alcohol. “Is it my imagination or have I finally found something worth living for?”
  10. The importance of being idle. Ditemi quel cazzo che vi pare, ma questa canzone è talmente patocca che da Londra a Middlesbrough avrebbe potuto scriverla qualsiasi infante chitarra-munito che avesse ascoltato almeno una volta nella vita I’m only sleeping dei Beatles (così da essere anche aiutato nello scrivere il testo). Eppure, non so com’è, ma ho l’impressione che solo gli Oasis avrebbero potuto renderla così bene.
  11. My generation (cover The Who). I sedicenti esperti musicali più di una volta hanno sentenziato:“Gli Oasis fanno cagare, non sanno suonare, fanno sempre le stesse quattro cazzate”. Benissimo, cosa dovevano fare per dimostrare il contrario? Dovevano coverizzare un pezzo impossibile degli Who? Riprendere un giro di basso supersonico di John Entwistle e cercare di velocizzarlo ulteriormente? Interpretare il cantato fuori tempo di Roger Daltrey in modo tanto fedele quanto originale (e già che c’erano spostarlo di tono così da rendere il tutto un po’ più dinamico)? Perfezionare l’incalzante batteria di Keith Moon? Be’, lo hanno fatto. Dico a voi, puristi e accademici dei miei coglioni: andatevene pure a fanculo. E tranquilli, che quelli che ascolto io raramente son dei cazzoni.
  12. (It’s good) to be free. Di diciassette tracce che sono state selezionate, questa è di sicuro la meno meritevole di comparire. Non fosse che una delle sue liriche dà il nome al primo live in vhs degli Oasis datato 1994, non fosse che “the little things they make so hAppy” sono sette parole sette così tanto stupide come altrettanto dirompenti, non fosse che l’intro e l’outro sono totally out of bound, non fosse che il riff del ritornello è superiore all’intera discografia degli Editors, non fosse che chiuderò questa tremenda sbabbelata con un’altra frase di questa canzone… insomma, non fosse per tutti questi particolari, sicuramente non l’avrei messa.
  13. I am the walrus. (cover The Beatles). Attualmente esistono pochi gruppi che sappiano reinterpretare i Beatles senza essere una fottuta cover band dei Beatles. Però no, non sono gli Oasis. Non so quali siano ma non sono gli Oasis. Sono gli Stereophonics, sono i Travis di merda, sono Pete Doherty e Carl Barat le poche volte che vogliono far trionfare i buoni sentimenti… Gli Oasis reinterpretano gli Smiths, ok? Reinterpretano i Jam del cazzo, va bene? Non reinterpretano i Beatles. Avete presente With a little help from my friends rifatta da Joe Cocker? Ecco, quel pezzo è un raro esempio di come sia possibile prendere una canzone dei Fab Four e migliorarla. Se esistesse una compilation di brani appartenenti alla stessa esclusivissima categoria, I am the walrus ne farebbe tranquillamente parte, con buona pace di John Lennon, Paul McCartney e di tutti gli elemntary-penguins-singing-hare-krishna di ‘sto cazzo.
  14. Whatever. Questa non è una canzone, questa è una preghiera.
  15. Columbia. Pezzo che da solo vale tutte le tracce, che so, di un Be Here Now qualsiasi. La più joydivisioniana tra le canzoni degli Oasis, forse la sola.
  16. Half the world away. Mi son stancato di parlare di Half the world away.
  17. Can you see it now. Una più che onesta chiusura post-rock per quella che molto, forse troppo, decisamente troppo, si limita ad essere la ghost track di Don’t believe the truth.
Nel raccogliere questi pezzi ho rivisto le copertine dei singoli, ho riascoltato per intero album che non inserivo nel lettore da una vita e mezzo, ho risuonato pezzi che m’hanno cresciuto, ho ricordato sentimenti che credevo sopiti. E’ stato un viaggio straordinario nella memoria, la mia, e nella musica, degli Oasis.
E’ profondamente ingiusto racchiudere 15 anni di carriera in 80 minuti.
Se non altro, in my mind there is no time.

Appendice.
Dall’album Definitely Maybe: Supersonic, Cigarettes & Alcohol, Columbia.
Dal singolo di Cigarettes & Alcohol (nonchè dalla raccolta The Masterplan): Listen up, I am the walrus.
Dal singolo di Whatever (nonché dalla raccolta The Masterplan, eccezion fatta per Whatever): Whatever, It’s good to be free, Half the world away.
Dall’album (What’s the story) morning glory?: Wonderwall.
Dal singolo di Some might say (nonché dalla raccolta The Masterplan): Acquiesce.
Dal singolo di Wonderwall (nonché dalla raccolta The Masterplan): The Masterplan.
Dall’album Standing on the shoulder of giants: Fuckin in the bushes.
Dall’album Don’t believe the truth: The importance of being idle, Can you see it now.
Dal singolo di Songbird: My generation.
Dall’album Dig out your soul: The shock of the lightning, Falling down.
Memorandum.
Fa paura pensare che il singolo di Whatever (pezzi contenuti: 4) conta 3 pezzi all’interno di questa selezione. Fa altrettanta paura pensare che The Masterplan è un lato b del singolo di Wonderwall. Fa ancora più paura pensare che The Masterplan, raccolta di b-sides ne conti 6, il doppio dei brani di Definitely Maybe, tanto per gradire.

1 commento:

Fonzo ha detto...

Ciao,sono Marco.A 10 anni avevo la bicicletta che andava più forte perchè me l ha detto il meccanico.A 16 anni sono stato il primo ad avere la bike con le sospensioni,sia davanti che dietro.montavo le manopole rosa della pro grip.Stò ancora percorrendo il mio percorso spirituale,lunedì sera mi arriva la tunica e dal prossimo week inizio a fare il chirichetto.sono un pò emozioe ma il signore mi darà darà la forza per passare questa forte emozione.

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