IO SONO DI BRAIDA - Storie sincere di un quartiere discusso
Testi - Giulia Bondi
Fotografie - Gigi Ottani
Perché il futuro passa da Braida, in tutti i sensi.
Essendo un appassionato di fotografia ed essendo innamorato della mia terra ho voluto leggere questo libro e vederne le splendide immagini.
Io NON sono di Braida, e nemmeno di Sassuolo, però conosco per lavoro, sport ed interessi, questa realtà, o almeno, credevo di conoscerla...
Sono a suggerirvene la lettura, e a suggerirla a chiunque, perché queste pagine sono tutto quello che c'è da sapere di Braida, e quasi niente di quello che si dice di Braida. Pur essendo completamente disinteressato alla politica darei questo libro in mano agli uomini di sinistra, qualsiasi sia il nome con cui si fanno chiamare ora, perché capiscano tutte i problemi che hanno sottovalutato e che hanno finto di saper controllare, ma lo darei anche in mano alle destre affinché gettino oltre le loro mura visibili e invisibili quella sensibilità che non pretendo appartenga a loro in quanto politici, ma in quanto uomini.
Sassuolo è diviso in diversi quartieri, Braida è uno di questi, uno dei più vecchi.Tuttavia non è un quartiere come gli altri, e non solo per il gran parlare che crea, ma anche perché chi ci vive e ci lavora vi dimostra un fortissimo senso di appartenenza, non così evidente nel caso di altri quartieri che probabilmente ne avrebbero anche maggior motivo per lustro o pregio. “Io sono di Braida”, ancor prima di “essere di Sassuolo”. Il titolo del libro è esemplificativo di quel che intendo.
Una serie di testimonianze e di racconti di chi è di Braida per ius sanguinis, di chi vi è migrato dalla montagna e dal Sud a cavallo degli anni '60/'70, e infine di chi -dagli anni '90- la raggiunge dall'Est, dall'Africa e dal Maghreb. L'italiano abbozzato dei forestieri, il dialetto dei vecchi, il gergo giovanile; il tutto intercalato dalle sbavate cadenze sassolesi e dagli intramontabili idiomi emiliani. Perché gli attori cambiano ma il palco è lo stesso, il copione da recitare anche. Forse è solo la qualità del pubblico a peggiorare, o il pubblico stesso a non essere pronto.
Le storie di una piccola grande città nella città.
Certo, tanti pareri discordanti, estremi, opposti, ottimisti, realisti, tragici...ma la sicurezza di sentire la campana più veritiera, quella del popolo. Non è la lettura di un giornale di parte o il comizio di un politico schierato; neppure la constatazione oggettiva di una serie di dati di fatto. Solo opinioni e pensieri schietti e diretti, ma soprattutto veri. L'unico sistema per farsi realmente un'idea di ciò di cui si parla.
Poi le immagini. Più le guardo e più mi dico:”Io da Braida ci passo tutti i giorni, ci ho anche lavorato”, eppure non ho mai pensato a quanta diversità fosse racchiusa a soli 10 km da casa mia finché non ho visto questi scatti, a quante e quali differenze ci fossero tra quello che vedevo e quello che non riuscivo ad immaginare. Scenari paranoici e degradati a fianco di concessionarie di lusso, palazzi fatiscenti vicini ad alberghi a quattro stelle, il grigiore della “civiltà ceramica” sullo sfondo delle verdi e soleggiate colline sassolesi. Ancora, le fisionomie delle paffute rezdore emiliane dagli sguardi bonari, i sorridenti volti mulatti, le carnagioni nere e quelle candide, la differenza nelle sacralità e l'uguaglianza nel profano.
E' strano: Braida, ripeto, è un quartiere antico e il suo stesso nome ha derivazione longobarda, significa “prato”. Tuttavia è il quartiere più all'avanguardia, nel bene come nel male, di Sassuolo e forse dell'intera provincia, ed è stato e continua ad essere una pietra di paragone che andrebbe tenuta sempre ben presente.
Leggo nel libro che in una scuola di Braida, l'ora di religione è dedicata al confronto delle differenti confessioni monoteiste e altro tempo viene investito nell'insegnamento della storia locale di Sassuolo. Per Natale si fa il Presepe, e in occasione della fine del Ramadam i bambini islamici possono assentarsi per festeggiarlo. Se da altre parti queste iniziative fossero avvertite come qualcosa di rivoluzionario o, al contrario, di reazionario, qui è normale; si tratta di due vecchie quanto semplici equazioni: volere è potere e di necessità, virtù.
Non se ne possono tralasciare le brutture né nascondere i problemi, e questa non è assolutamente l'intenzione del libro, però il messaggio che passa è che si tratti di un serbatoio di sangue nuovo che, se ben regolato, possa generare grandissime potenzialità ed incredibili risorse per il futuro. Perché, come dicevo, il futuro passa da qui; lo stesso presente è passato da qui.
Sopra ogni altra cosa mi ha colpito, per esempio, leggere di come sia stata usata diffidenza e mancanza di rispetto nei confronti di chi, a suo tempo, s'era trasferito a Braida dalla montagna. Io non saprei mai riconoscere un figlio o un erede di quella gente, non saprei attribuirgli origini montanare se non forse, e dico forse, conoscendone il cognome. E comunque non ho mai fatto differenze nei loro confronti né mi viene in mente di farle ora. Lo stesso atteggiamento è stata mantenuto verso i meridionali. Eppure conosco, come credo tutti conosciamo, figli di immigrati meridionali che non considereremmo mai tali se non ne sapessimo le generalità o se gli stessi non tradissero gli accenti ereditati dai padri e dalle madri. Se è vero, come è vero, che la storia si ripete sempre...
Non nego comunque di avere paura a volte, di essere preoccupato. Temo che tante pieghe di questo fenomeno possano trasformarsi in pericoli incontrollabili se sottovalutati o sopravvalutati. Tuttavia nel guardare le foto di questi bambini, vedere le loro facce sorridenti, i loro occhi sereni, saperli con un pallone tra i piedi, capire che per loro crescere a Braida è tanto normale quanto lo è stato per me crescere dove sono cresciuto, mi tranquillizza (vabbé, a parte il bimbo che indossa la maglia dell'I**er” che, puvrein, è stato colpito dalla più brutta disgrazia che gli potesse mai capitare). Mi accontento di poco probabilmente, ma lo ritengo superiore a qualsiasi promessa elettorale, discorso pseudo-politico di risoluzione del problema, ideale da seguire a occhi chiusi senza tastare il terreno prima di proferir parola. I bambini risolvono problemi che non sanno neanche di affrontare.
Concludo dicendo che questo libro è una voce, anzi, una serie di voci, fuori dal coro. Le uniche che andrebbero ascoltate, le uniche che non si sentono. Questo libro sono le immagini cui non abbiamo mai fatto caso e quelle cui abbiamo fatto caso ma cui non abbiamo prestato l'attenzione che meritavano. Foto in bianco e nero, non so il perché della scelta, forse perché non esistono ombre senza luci (e viceversa,) e scegliere di vedere solo le une o solo le altre è assolutamente sbagliato.
Augurandovi buona lettura e buona “visione” mi permetto di rubare una singola frase di questo libro e lasciarvela. “Braida è il mio paese e am trov bein, Diobono: a gh'è di furester, ma bisogna accettarli e buonanotte.” Chi vive a Braida è molto meno spaesato di chi si limita a giudicare senza conoscere, qualsiasi sia il giudizio che esprime.
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