A distanza di quasi un anno ho ripreso in mano REDUCE e l’ho riletto.
Mi capita poche volte di rileggere libri o riguardare film, ma per il libro di Giovanni Lindo dovevo farlo, una cosa diversa, uno stile unico, il sapore di qualcosa di autentico. Ricordo di averlo difeso a più riprese nei forum sinistrorsi di mezz’Emilia: lo rifarei, e alla grande.
Quella puntata di “Otto e mezzo” dove presentava REDUCE aveva irritato i presunti intellettuali di sinistra e io non m’ero mai divertito così tanto a sverniciare le loro teorie del cazzo che non stavano assieme neanche con la colla.
“Votavamo il P.C.I. perché ci governava bene”.
In questa frase c’è tutto, c’è tutto il declino della sinistra emiliana, della nostra amata storia.
L’imperfetto dei verbi, l’idea del passato, vicino ma finito, inesorabilmente tramontato.
La rievocazione del P.C.I., come a voler dire che tutto quello venuto dopo, sebbene di nome diverso, è stato, ed è, solo decadenza, resti, avanzi, poca roba.
Un affermazione che ha il valore di una negazione, suona come:”Ora non lo fa più”. Riconoscerlo non è sufficiente, uscirsene con frasi “sì, va bene ma non do il voto agli altri” è come ostinarsi a chiamare il maschio senza avere femmina, re e cavallo.
Ne vale la pena?
Se poi il sentimento è schietto, se quel “Sono tornato a casa” è, come davvero è, trasparente e sincero, allora io sto dalla sua parte, non lo rinnego, mi dispiace, anzi.
Che voti Berlusconi, vada da Ferrara, si faccia pubblicare da Mondatori, m’importa ‘na sega.
L'incoerenza di cui è stato tacciato dai sedicenti uomini di sinistra dalle belle case, i macchinoni, il colletto bianco, la barca in Sardegna e il portafoglio sempre rimpinzato da papà è quanto di più grottesco possa immaginare.
Quelli sì, li innaffierei di sperma, meglio se hanno un bel paio di occhiali su cui poter sbrodolarmelo.
Ma questo è quello che ho pensato l’anno scorso.
Rileggendolo mi sono soffermato su altre cose, sulla descrizione dei suoi luoghi, per esempio, quelli abitati, lasciati, riabbracciati (Cerreto Alpi, la montagna reggiana, Reggio Emilia) e quelli visitati, vissuti da ospite (Berlino Est, Mosca, Leningrado, Ulaan Bataar, Sarajevo, Medjugorie, Algeri, Cape Town, Durban).
La descrizione di luoghi surreali, veramente a margine della storia e della geografia, irripetibili, unici. Ora chiunque va in capitali, paesi, regioni, dove potrà tornare, che potrà rivedere, di cui racconterà il tutto e il niente che qualcuno ha già raccontato o racconterà ancora. Ferretti parla di posti che sembrano lontani nel tempo e sembrano fittizi, artefatti, ma esistevano non più di vent'anni fa. Se uno ci pensa non ci può credere. Peppone diceva di preferire la "Russia che aveva in testa", alla "Russia vera e propria"; Ferretti, per puro gusto ESTetico, ha vissuto in una comune a Berlino Est ed è andato più volte in Russia, la "Russia vera e propria"Gli intellettualoidi di sinistra possono mettersi in fila ed ascoltarlo, prima di dargli dei nomi. Lui ha scelto, ha visto, ha vissuto. Loro, no: loro hanno letto i libri nelle loro belle case, è una cosa diversa, profondamente.
E poi il modo di descrivere il Crinale e la sua gente, l’amore per la montagna, l’orgoglio d’essere montanaro. La voce di chi doveva andarsene per capire di dover tornare, una moderna transumanza da domani a ieri. Il Crinale, le cime, le chiese, le architetture povere, i passi, i valichi, l'acqua, il vento, i camini, i cavalli, le tradizioni, i dialetti: in una parola, la Montagna, l'Appennino. Ciò che resiste (per davvero), ciò che è reduce.
Bon, basta, lascio di seguito una (un po’ lunga, a dire il vero) spiegazione dell’affaire Ferretti secondo me, ovviamente.
Ferretti Lindo Giovanni era stato ritenuto colpevole dalla peggiore delle giurie -quella del popolo generalista- di aver più volte professato l’abbandono della retta via e di avere votato a destra, di “essere tornato a casa”. Ferretti era il punk filo-sovietico, era i C.C.C.P., la voce in musica dell’Emilia, l’italica roccaforte rossa, primo e ultimo incrollabile baluardo del comunismo europeo. S’era costruito l’immagine del compagno oltranzista, a tratti -apparentemente- stupido, fedele alla linea anche quando la linea non c’è.
Chi non l’ho mai ascoltato attentamente lo ha sempre giudicato per le falci e i martelli che riempivano i dischi dei C.C.C.P., per gli slogan paradigmatici («Produci, consuma, crepa») e per diversi suoi comportamenti dal piglio provocatorio, tipici di quella sinistra che nega sé stessa, di quella sinistra che: «Così com’è non va, la vera sinistra è più a sinistra!».
Fin da tempi non sospetti, a me, specie la canzone Madre e l’album Canzoni, preghiere, danze del II millennio. Sezione Europa avevano sempre dato da fare; non mi avevano mai convinto di un partito piuttosto che un altro, anzi.
Avevo il sospetto (si dice: «chi ha il sospetto ha il difetto» e io quel difetto lo covavo) che Giovanni così di sinistra non lo fosse mai stato e che non avesse mai volutamente sponsorizzato nulla e nessuno, ma si fosse semplicemente limitato a raccontare quello che gli passava per la testa facendolo come meglio gli garbava in quel determinato periodo.
Che la gente intendesse una cosa al posto di un’altra o pigliasse sistematicamente lucciole per lanterne non era mai stato un suo problema.
Il mio sospetto veniva poi suffragato da una vecchia intervista fatta a Massimo Zamboni (l’altra indispensabile anima dei C.C.C.P.) il quale affermava che non abbracciassero deliberatamente alcuna ideologia ma cercassero semplicemente di descrivere ciò che vedevano guardandosi intorno, indipendentemente da quale ne fosse la facciata e da cosa vi fosse dietro. Era stato proprio questo aspetto a far sì che m’interessassi ai C.C.C.P., ai C.S.I. e ai P.G.R., non mi facevo scrupoli del loro voto, non me ne fregava un cazzo.
Inoltre, ad ulteriore riprova dell’affrettato e superficiale giudizio dell’intellighenzia locale, dei duri e puri di paese, era già qualche anno che Ferretti portava in giro per l’Italia spettacoli che affrontavano in maniera più approfondita anche temi religiosi, non proprio vicini ai partiti di sinistra, temi per la verità non inediti, ma che forse, al tempo dei C.C.C.P. erano passati in sordina.
Se la colpa era quella di “essersi convertito” allora la colpa non sussisteva, non c’era stata nessuna conversione, ma solamente un processo graduale i cui accenti erano stati spostati a seconda dei tempi e delle convinzioni. Un processo invisibile e impercettibile solo a occhi e orecchie disattenti, un processo comune a tante vite, ma illecito se compiuto da un’icona di sinistra.