Forme complesse

Cosa rimane di questo Giugno?
Che per me, da qualche anno a questa parte, è sempre un mese abbastanza X?
O, anche, quali saranno domani i ricordi dell’oggi appena trascorso?
Rigorosamente in ordine sparso, alcuni appunti presi durante la settimana di ferie a inizio mese, i week end e gli ultimi giorni a chiusura della stagione feriale.

Pronti? Via!

La mia raccolta di foto alla Luigi Ghirri. Da qualche parte ho letto che la creatività è ridefinire forme già esistenti in nuovi rapporti. Non so, forse, come ho già scritto e detto da altre parti, la Romagna si presta molto bene a questo genere di scatti: un po’, parafrasando un verso di Vasco Brondi di “Ci abbracciamo”, non si sa in che epoca siamo, e un po’ i colori, le sagome, le simmetrie. È come se per un occhio curioso si sviluppassero dimensioni nuove, come se forme conosciute si concedessero a più angolazioni e, seppur nella loro semplicità, divenissero più complesse. 


I gabbiani che garriscono sembrano gatti che stanno tirando gli ultimi, “Cattivi cattivi pennuti!” per dirla con quello scassamaroni di Steve di “Steve & Maggie”, un cartone orribile che guardano entrambe le mie bimbe.

Ad ogni buon conto questi volatili mi suggeriscono due riflessioni.
La prima è che di notte, a seconda della distanza da cui proviene il verso un po’ conciliano il sonno, un po’ lo rovinano. Nell’udirne lo stridio, subito la sensazione è “che bello, sono al mare e domani non devo andare a lavorare”, immediatamente dopo è “du maraun!”. Sarò matto ad associarli così ma mi ricordano le parole che Giovanni Lindo Ferretti aveva vergato nel booklet di In Quiete: ”In quiete non è come dire relax. Credetemi”.
La seconda considerazione rimanda invece all’incomprensibile e storica sentenza di Eric Cantona: “Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine stiano per essere gettate in mare”. Un mucchio di volte mi sono scervellato per indovinare cosa significasse questa affermazione poi Stefano Borghi ha provato a dissipare ogni dubbio sostenendo che… niente, non significa niente. Non lo so, avendo io il sonno leggero e potendomi quindi concentrare per tante notti di fila su questo suono, forse hanno ragione sia Steve sia GLF sia The King: sono cattivi cattivi pennuti che rompono i coglioni.

Mi sono incantato ad osservare una partita a pinnacolo tra alcuni locals del bagno, quei personaggi romagnolissimi che si presentano all’apertura dello stabilimento cinque minuti prima che arrivino i bagnini, requisiscono i quotidiani imparandoli tutti a memoria, usurano le orecchie delle carte da gioco a forza di scartocciarle, prendono un caffè e una bottiglia d’acqua quando dice bene, vanno via cinque minuti dopo che i bagnini hanno chiuso anche l’ultimo dei ripostigli.
Una giocatrice, una signora anziana ma agguerrita come una giovane amazzone, continuava istericamente a sbraitare all’indirizzo dello sparring partner una parola all’apparenza senza senso: “lozek, lozek!”. Ho pensato non stesse bene o che fosse straniera. “Lozek! Lozek! Gioca lozek!”. Dopo un po’ ho capito che chiedeva al compagno di merende di giocarle IL JACK, che, in romagnolo (scemo io) si dice, appunto, lozek.

Alla Benedina piace molto sapere come si dicono in inglese alcune delle parole italiane che usa di più, e quelle degli animali sono le sue preferite. Come si dice squalo? Come si dice pesce? Come si dice granchio? A tutte le domande risponde correttamente ma quando le chiedo: “Come si dice medusa?”, replica: “MEDUS”. Game set n match.

In Riviera, in un contesto vacanziero, si sfregano esistenze molto diverse tra loro.
Nel discorso che ho declamato al matrimonio di Tommy, mi sono piccato di saper inquadrare le persone dopo averci parlato un minuto e mezzo massimo.
Ecco, ciò vale finché non siamo in Romagna, sotto gli ombrelloni o in riva al mare mentre si scambiano due chiacchiere per cortesia o mutualità. Lì diventa tutto molto più complicato, e perché le apparenze ingannano e perché tutti hanno giustamente la testa da un’altra parte.
Non ci avevo mai fatto caso ma anche il vestito influenza il giudizio altrui e non perché l’abito faccia/non faccia il monaco ma perché ognuno lascia qualcosa di sé nel modo di abbigliarsi ed anche per contrario, perché in una situazione in cui tutti sono in costume, è un po’ come se tutti si somigliassero.
Come paragone estremo penso a Wimbledon dove il requisito principe è che tutti siano vestiti di bianco affinché nessuno, ad un primo sguardo, possa parere diverso ed ognuno dei partecipanti, almeno nell’aspetto, parta alla pari contro qualsiasi avversario.
E poi le frequenze di pensiero al mare sono differenti. C’è chi libera la mente, diventando indecifrabile ad un osservatore esterno e chi ha tempo per riflettere e trovare un punto zero, ragionar di come procedano le proprie battaglie perse, a cosa abbia portato aggredire strutture e sovrastrutture che tanto cambiano di continuo. Per paradosso si arriva allo stesso risultato, ossia che le trame si ingarbuglino, che dietro la storia visibile di una persona ce ne siano molte altre nascoste. 

Mi riverbera in testa una frase che ho sentito in un podcast di Carlo Pastore e di Giorgio Terruzzi che ho fatto mia e che sto ripetendo come un mantra: “Un uomo senza contraddizioni dove va?

Una domenica sera abbiamo fatto una partenza intelligente: ci siamo messi in macchina alle nove e alle nove e cinque eravamo in coda sull’Adriatica.
Abbiamo quindi deciso di non imboccare l’autostrada e di provare a seguire e trovare i mitici Stradelli Guelfi. Ad una certa ci siamo persi lungo una strada di campagna, percorsa ad un orario incomprensibile da un personaggio improponibile su una motocicletta. Specie perché faceva i 30 km/h occupando tutta la carreggiata. Per un attimo ho pensato al folle del video di Karma Police, luci e ambientazione erano le stesse. Ho fatto anche una foto, i colori erano virati allo stesso modo, evidentemente dietro c’era lo stesso regista.


L’ultima volta che ho cercato di prendere un treno per il mare, ho perso il mio, son salito su un altro e non sono arrivato nemmeno nel posto giusto. Questa volta ed in occasione di un week end in cui occorreva che non fossi automunito, il buon Sandro mi ha accompagnato a Bologna (per inciso: in estate le biciclette andrebbero abolite sotto le Due Torri, oppure bisognerebbe dire alle ragazze che le inforcano di pilotare altri mezzi, altrimenti rischiano di provocare tamponamenti a raffica) e da lì ho preso il treno per Cervia.
Come diceva Pozzetto: “Il treno è sempre bello” e fare ogni fermata avrà i suoi perché ma ha anche diversi perché no. E lo dico con buona pace degli abitanti di Lugo, Godo e Solarolo, che sembrano i nomi di una favola dei fratelli Grimm.

Incredibile ma vero, ho trovato un asiatico che mi ha venduto esattamente quello che cercavo e non ha nemmeno cercato di fregarmi. Lo scontrino non me l’ha battuto ma vabbè, non per questo non ci tornerò, è stato carinissimo e ha indirizzato perfettamente i miei gusti verso l’articolo desiderato.

“Mamma, papà, adesso andiamo dal Signorino che ci guarda?”.
La Benedina riferita all’insegna di Luciano.

Ho assistito ad una scena memorabile, protagonisti due fratelli.
Il minore aveva rubato qualcosa al maggiore, scherzavano e si inseguivano. Li ho guardati attentamente, mi facevano ridere, mi mettevano tenerezza e mi facevano pensare a quello che un giorno potrà essere il rapporto tra le mie figlie. Poi, ad un tratto, senza tanto né quanto il più grande ha mollato una cinquina al più piccolo, una sberla così forte che l’hanno sentita anche i sordi.
Il fratello minore è rimasto lì, zitto muto e rassegnato. Mi viene da pensare di non aver capito nulla del loro rapporto, di sicuro era più difficile del viaggio mentale che mi stavo facendo io.

Nell’Agosto del 2018, in macchina e di ritorno da Cervia, più precisamente all’altezza di Casemurate, per caso mi volto all’improvviso all’indietro e assisto in diretta ad un’epica vomitata di latte della Benedetta. Non c’era ancora il VAR ma non avrei avuto bisogno di rivederla perché l’avevo vista perfettamente. Momento di psicodramma infantile a causa dell’inatteso conato e rocambolesca ripartenza verso casa tra odori di vomito e bianco-merdo dappertutto.
Il 21 Giugno 2021 partiamo di lunedì mattina, entrambi dobbiamo andare al lavoro ma donna Ilenia ha un orario preciso cui presentarsi ed è già vestita per l’ufficio. Per caso mi volto all’improvviso all’indietro e assisto in diretta ad un’epica vomitata di latte dell’Agnese. Quando si dice un deja vù, e nemmeno il primo, di questa vacanza.
Alcune note di colore. Abbiamo svestito e pulito l’Agnesotta sotto un cavalcavia dell’A14 e da straccio ha fatto il vestito nero dell’Ile. Come avrebbe detto l’inarrivabile Bruno Pizzul: “Tutto molto bello”, anche perché prima di arrivare "al lavoro della mamma" siamo passati da un paese chiamato Casebruciate, si pensi un po' alle quasi-coincidenze.

Il personale del bagno in cui andiamo da qualche anno è a suo modo adorabile. Ogni tanto entro nel bar, mi guardo un po’ intorno o accendo qualche miccia, una roba molto alla Lucaricchi, creo dibattiti, animo un po’ e poi me ne vado via alla chetichella. Il più delle volte però mi limito ad ascoltare, colgo qualche ciarla, capto i passaggi necessari per contestualizzare il discorso. Mi piace pensare di aver sentito la titolare spiegare alle collaboratrici e ai collaboratori di aver parlato al telefono con due ragazze che prenotavano per l’indomani ma di non aver capito se queste le avessero dette di essere vegane… o bresciane. Ci sta, perché no, un fraintendimento come un altro!

In Romagna, e d’estate il tempo -quello dell’orologio- è diverso, per certi aspetti è abrasivo, ha un peso specifico differente.

Al matri di Tommy ho incontrato il Sex, che non vedevo da una vita e mezzo. L’ho abbracciato, abbiamo parlato molto, l’ho ascoltato con grandissimo trasporto. Non ho saputo dirgli altro se non che trasmette positività (che di questi tempi non sembra un bel complimento ma lo è) ed energia. Mi ha riscritto qualche giorno dopo un whatsapp accorato ed emozionante, col suo tocco, con la sua cifra stilistica, un messaggio che terrò per me perché mi ha reso il cuor contento.
Non lo dico spesso ma quando lo dico lo credo davvero: ogni tanto evviva la gente.

L’Agnesotta ha un affetto felino e la stessa grazia/lo stesso garbo del Duce durante la Battaglia per il grano. La Benny ormai ha imparato a conoscerla, e dopo che la sorella minore la stava inaspettatamente abbracciando, ha ricambiato il gesto e le ha detto: “Agnesina, ti è venuto un momento di amore?”.
Mi ha fatto morire.

L’ultima sera sono entrato nella chiesa di Pinarella. Fuori il sole stava tramontando ma, essendo piena estate, ci si vedeva ancora molto bene. Dentro però era come se stesse velocemente calando la sera e rimanesse più tutto più in ombra. Sarà che ultimamente faccio molto caso alle luci ma quelle dentro la chiesa, le candele e i riflessi dei lucernari, seppur fiochi, erano particolarmente calde, riempivano l'animo. 

Al matri di Tommy ho attaccato dei chiodi a gente che proprio non se li meritava.

Quanto sono belli gli Europei, quanto -per una volta- sono belli gli anni dispari? Quanto è bello assistere con un amico, dopo una cena e davanti a un gin tonic di staffa e di rinforzo, per di più in un bar in riva al mare, alla rigorata tra Francia e Svizzera? Se poi quell’amico è Berta che ad ogni francese che si presenta sul dischetto salta su e comunica a tutti gli avventori: ”Gobbo di merda!”, allora beh, visto/vissuto di peggio e pagato di più.

Al matrimonio di Tommy ho ricevuto molti complimenti per il discorso che ho fatto in qualità di testimone e di cui ho parlato diverse righe sopra, anche perché, come dice Freddy dico sempre le cose due volte. Credo però che siano state molto puntuali e affettuose anche le parole che gli sposi hanno fatto trovare, con un bigliettino personalizzato, a ciascun inviato. Veronica, che non mi conosce, ha scritto che le piaccio, che sono scanzonato, profondo e corrosivo. Un po’ mi sono sentito e mi sento cucite addosso queste caratteristiche, un po’ provo ora quasi l’obbligo di onorarle. Rileggendo queste righe scritte alla veloce e analizzando alla bell’e meglio i miei appunti di vita e di via, non solo credo di ritrovarmi nei giudizi della sposa, ma penso anche che in un qualche modo rispondano alla domanda con cui ho dato il la alla sbabbelata. 

Cosa mi rimane di questo mese?
Mi rimangono momenti scanzonati, altri che corrodono scavando dentro ed altri che vanno osservati nella loro profondità per essere compresi.
Il titolo del post vuol essere un piccolo omaggio all’omonima canzone dei FBYC perché la chiosa finale del brano “Sfidare geometrie che poi variano sempre. Tanto alla fine di quello si tratta. Capire se è facile quando calza a pennello oppure adattarsi alle forme complesse” descrive in estrema sintesi e con una poetica stringata proprio momenti di questo genere. Come mi sono trovato a dire ad Albertolioy durante uno di quei miei messaggi vocali che sembrano podcast, la superficie delle cose è liscia (cit. Cosmo) ma dentro è tutto molto più ruvido del previsto ed il mio approccio, forse, non è così fuori luogo, fa da specchio ai versi cantati da Jacopo, il frontman della band milanese che “conosco solo io”, come mi ha detto uno dei simpatici ragazzi cui ho tirato un gancio devastante al Matri Tommy. C’è tanta complessità, che non vuol dire negatività, significa che servono diversi punti di vista per intravedere ogni sfumatura.

In un paesino qui vicino a San Antonio, TX, ogni anno (ad eccezione del 2020, annus horribilis), viene organizzata una sagra che si protrae, ogni sera, per due settimane. Un mio amico, cui questa festa e questo borgo sono molto cari, dice che per lui andarci è rinvigorente, gli sembrano ferie, parole testuali.
Fa strano ma anche no, nel senso che in questo nostro periodo storico ore, al massimo serate, residuali paiono infiniti istanti di vacanza, mentre legittimi e meritati giorni di leggera consapevolezza vengono intercettati e attraversati da attimi e/o occasioni di profonda e difficile riflessione.

Lo penso spesso ultimamente. Siamo più di una cosa, siamo e viviamo tempi di forme complesse.
Del resto, senza contraddizioni dove andiamo?

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