Di seguito riporto il testo di una missiva inviata ad un giornale di viaggi e turismo cui sono abbonato.
In questo post ho aggiunto qualche foto altrimenti sarei stato troppo pesante e la Miriam non si sarebbe degnata di leggermi. Colgo l'occasione per dedicarlo agli amici del Calcetto & #wellness, coi quali ogni giovedì è abitudine andare alla cerca del miglior ristorante che serva gnocco fritto e crescentine, il tutto rigorosamente innaffiato da lambrusco gelato.
In questo post ho aggiunto qualche foto altrimenti sarei stato troppo pesante e la Miriam non si sarebbe degnata di leggermi. Colgo l'occasione per dedicarlo agli amici del Calcetto & #wellness, coi quali ogni giovedì è abitudine andare alla cerca del miglior ristorante che serva gnocco fritto e crescentine, il tutto rigorosamente innaffiato da lambrusco gelato.
E mi cambierò nome ora che i nomi non valgono niente,
non funzionano più da quando non funziona più la gente.
non funzionano più da quando non funziona più la gente.
Sant'Antonio di Pavullo n/F, 12/10/13
Oggetto: TIGELLINE CON IL PESTO MONTANARO, UN PROBLEMA DI FIGURE RETORICHE
Salve.
premetto d'essere un Vostro abbonato e di seguire con vivo interesse gli articoli, che ritengo essere scritti magistralmente ed essere accompagnati da immagini davvero suggestive. Dedico grande attenzione anche ai suggerimenti riguardo a locande dove poter soggiornare e/o mangiare perché mi piace viaggiare e sono molto attento alle tradizioni culinarie di altre regioni. Alcune volte ho seguito i Vostri consigli e altre volte mi è capitato di veder menzionati nomi di ristoranti o alloggi in cui ero capitato e dei quali non potevo che parlar bene, ad ulteriore riprova della bontà delle Vostre indicazioni.
Ebbene, sono costretto, mio malgrado, ad intervenire con un claim ufficiale per puntualizzare una questione rispetto alla quale Vi trovo in difetto. Mi riferisco all'articolo riguardante il Parco del Frignano; nel dettaglio: pagina 102 dell'ultimo numero (quello di Ottobre 2013) , ove, nel trafiletto intitolato “I buoni sapori del forno” parlate delle "crescentine" e delle "tigelle".
Sono modenese, originario di Maranello, ma residente a Pavullo nel Frignano, quindi parlo con cognizione di causa della questione in oggetto, e mi sento in dovere di correggerVi riguardo alla corretta definizione delle sopraccitate specialità locali.
Viene da Voi scritto che "le crescentine sono fritte nello strutto, sono da farcire con salumi e quando non sono fritte si chiamano tigelle, dal nome dello strumento di cottura, un tempo di terracotta". Oltre a questo caravanserraglio di inesattezze, aggiungete un carico da undici parlando di “pesto” a base di lardo macinato, come possibile condimento delle stesse.
Io mi sforzo di interpretare tante cose, dai miracoli di San Gennaro alle parole di Renzo Bossi, ma qui siamo davvero in un'altra dimensione.
Ma andiamo con ordine e insieme cerchiamo di capire da che parte gira il fumo.
Citando fonti super partes che non siano gli anziani nostrani, o “il sentito dire" dei bar di paese, bensì tirando in ballo quella che spero riteniate una fonte di cui poter condividere comunemente l'autorevolezza, ossia Wikipedia, ecco la definizione di “Crescentina”:”La crescenta o crescentina (nella forma plurale crescenti o crescentine) è un tipo di pane caratteristico dell'appennino modenese, altresì conosciuta, ma erroneamente, con il nome di tigella... Le crescentine modenesi si preparano a partire da un impasto di acqua, di grano tenero e lievito di birra, da cui si formano palline o dischi del diametro di 6-10 cm”.
Quello che Voi, nell'articolo incriminato, chiamate “Crescentina” è in realtà “IL gnocco fritto” e, si badi, non va utilizzato l'articolo determinativo “LO” come l'Accademia della Crusca o anche solo un qualsiasi sussidiario di grammatica potrebbero suggerire, ma va assolutamente usato l'articolo determinativo principe, ossia "IL". E questo perché vanno tassativamente rispettate i diktat linguistici imposti dalla trasposizione delle parole dal dialetto all'italiano che non staremo qui ad indagare e che Vi chiedo di accettare come dogma imposto.
IL gnocco fritto è un impasto di farina, sale, strutto e lievito. Al termine della lievitazione, la pasta viene divisa in piccoli rombi che vengono fritti nello strutto bollente e a volte anche nell'olio, ma è bene precisare come questa pietanza nasca nello strutto poiché si tratta di un tipico mangiare povero, ed è ovvio che le famiglie di una volta, quelle meno abbienti, non avendo l'olio nemmeno per le lampade, difficilmente ne disponevano per cucinare. È una specialità diffusa in tutte le province emiliane, in particolar modo però a Modena, Bologna e Reggio Emilia.
Dalle parti di Bologna, e questo significa essere ben oltre i confini del Frignano, il quale rimane in territorio esclusivamente modenese, lo chiamano erroneamente “crescentina fritta”, e questo è un abominio linguistico, filologico ed etimologico inaccettabile.
IL gnocco fritto trova le sue radici nella pianura modenese e solo in un secondo tempo è stato esportato in montagna, nel Frignano e nelle province limitrofe. Tuttavia, come è vero che i ristoratori frignanesi nonché le rezdore del posto ne hanno conservato l'esatta definizione, da altre parti il nome è stato cambiato, e a Bologna è stato completamente confuso con quello di "crescentina" che, come abbiamo appurato, è altra cosa. A onor del vero, anche in alcuni paesi del Frignano, quelli che più risentono delle influenze felsinee (e che, a parer mio, dovrebbero quindi farsi un bell'esamino di coscienza), tendono a chiamarlo “crescentina o crescenta fritta”, ma non siamo qui per salvare tutte le anime dannate che “perdonali Padre perché non sanno quello che fanno”, né per mettere cerotti su gambe di legno, per cui sorvoliamo e riconosciamo nel fatto che almeno abbiano messo il suffisso "fritta" dopo "crescentina" un segno di buona volontà.
Spiegata questa differenza, una diatriba squisitamente modenese è invece legata alla differenza tra "crescentina" e "tigella"; infatti, per un caso di metonimia (nella fattispecie che siamo qui a dibattere, trattasi di figura retorica che si manifesta quando si utilizza il nome del contenitore per il contenuto), di contro a quanto fecero i locandieri che importarono il gnocco fritto, quelli della pianura, dopo aver conosciuto e apprezzato la specialità frignanese della "crescentina", la importarono nei propri paesi ma non capendo una mazza ne sbagliarono il nome, usando quello di "tigella", il quale è poi entrato nel gergo comune, prendendo deciso sopravvento in forza, è facile pensare, di un maggiore bacino di clientela a disposizione cui lo spartito era stato consegnato fuori tono.
Vuole dire: normale che qualora un ristorante di Modena città proponga “tigelle”, sia più facile che un maggior numero di persone le chiami così e non sappia nemmeno cosa siano le “crescentine” di Pavullo o del Frignano. Per la cronaca, non sono nemmeno insoliti i casi di ristoratori montanari “costretti” a sbagliare apposta il nome delle "crescentine", temendo di perdere potenziali clienti che non leggendo il nome “tigelle” chiedessero sbigottiti, se facessero anche quelle e se sì, che differenza ci fosse tra le due specialità.
I più bontemponi dei ristoratori erano, in questo caso, soliti rispondere:”Posso portarvi delle tigelle, ma non credo riusciate a mangiarle”, facendo loro intendere che le tigelle, quale strumento di cottura di terracotta, non fossero così facilmente digeribili.
Vero è anche che sono ultimamente sorti in pianura (ne ho visti a Modena o a Sassuolo) locali chiamati crescenterie, che cercano di ristabilire le corrette gerarchie linguistiche del caso, e le cui crescenti sono davvero buone, ideali per uno spuntino veloce in pausa pranzo, take away serale, o fame da carogna.
Tirando quindi le fila del discorso e impartendo una morale da ricordare come le proprie generalità, decreto il seguente verdetto.
La tigella è lo strumento di cottura della crescentina che è un piccolo disco di pasta da condire non solo con salumi, lardo & parmigiano ma anche con umido di salsiccia o di funghi, ed è cosa diversa dal gnocco fritto. E per chiarire al meglio il concetto, occorrerebbe accompagnare con una bestemmia di quelle che fanno tremare l'aria, bere un bicchiere di lambrusco e poi sbatterlo sul tavolo con sguardo di sfida verso chiunque abbia qualcosa da dire, ma capisco che questa non sia la miglior sede in cui farlo.
Sono quasi alla fine, ma prima un ultimo spin-off sulla questione del pesto.
Il "pesto" di cui parlate è un trito di lardo, rosmarino, aglio, sale e a volte pancetta, ma nessuno se non i villeggianti estivi che vengono dalla città o i turisti della festa lo chiamano “pesto”. Con una sineddoche, figura retorica mediante la quale una parte definisce il tutto, il trito da Voi è menzionato è chiamato comunemente “lardo”. Nessuna persona normodotata chiede all'oste o alla nonna il pesto, si chiede "il lardo", punto e a capo.
Prima di concludere questa enciclica, vorrei sciorinare altre curiosità degne di “Non tutti sanno che”. In un bar di Castelnuovo di Garfagnana, i cui orari di lavoro rimangono un mistero della fede per gli stessi gestori per cui non mi sento di consigliarne la visita perché difficilmente trovereste aperto, mi è capitato di assaggiare una squisitezza locale, da loro ribattezzata “Pasta fritta”, che però ho trovato solo in quella specie di take-away. La Garfagnana, saltata agli onori della cronaca per le leggere scosse di terremoto di qualche mese fa, è una subregione storica della Toscana, appartenente alla provincia di Lucca e che condivide con il Frignano il confine appenninico. Non è quindi un'eresia credere che anche da quelle parti abbiano importato dai vicini frignanesi IL gnocco fritto, sebbene in una variante molto più unta e, come si dice da queste parti, “ciunta” e bisunta, il che non è per forza un male, ma solo se credete che il colesterolo sia un'invenzione dei media che non intacca i valori della circolazione e, dopo averne mangiato tutti, ci si dedichi ad un corsa di dieci chilometri in salita per smaltire.
So d'essere stato lungo, ma sappiate che ho scritto tutto in maniera davvero accorata e sentita, con il chiaro intento di riportare ordine in questa baruffa di parole lanciate a caso come se i nomi non vantassero storie e tradizioni da rispettare. Ho posto grande attenzione alle figure retoriche perché sì, hanno grande importanza nella questione testé discussa, anzi, forse sono tutto.
For your consideration e con immutata stima, porgo cordiali saluti.
Simone Ferrari
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