Scrivo su ogni cosa, su ogni superficie scrivibile.
Quaderni d'appunti, scontrini della spesa, lavagne magnetiche, il moleskine che m’ha regalato Gavioli (ormai al lumicino: il moleskine, non Gavioli; beh forse anche un po’ Gavioli), le strisciate della calcolatrice Olivetti che ho al lavoro, post-it gialli bianchi e verdi, un file di blocco note dall’elegante nome "frasi belle", il memo del telefono S3, vari block notes delle ceramiche della zona, fogli volanti. E lo faccio senza alcuna logica temporale. Scrivo mentre lavoro, mentre guardo la tv, mentre sono a pranzo, mentre sono in bagno, qualche volta anche quando sono fuori con gli amici. Penso d’averlo fatto anche al cinema.
Perché sì, davvero: verba volant, scripta manent.
Per lo più sbobino frasi che mi hanno colpito, modi di dire o parole nuove, tutte cose che raccolgo nei contesti più svariati. Seduto ad un bar, sugli status/commenti di facebook, al lavoro, sui libri di Giovanni Arpino e Beppe Fenoglio, grazie a qualche buona seppur rara intuizione di personaggi improponibili, nelle serie TV, sulle riviste di turismo cui sono abbonato, nei testi delle canzoni, nelle pagelle della Gazzetta dello Sport quando ci sono i Mondiali, in Regioni dalle parlate differenti, nelle interviste a Giovanni Lindo Ferretti, dagli amici, dai nemici e dai genitori.
Quando scrivo qualcosa, indipendentemente dall'argomento trattato, pesco tra i miei appunti le cose più adatte, come fossero le spezie dell’orto con cui insaporire la carne, e le butto lì cercando di capire quale sia quella che dà il gusto migliore.
Se dovessi fare una lista delle prime dieci cose che mi rendono felice, immediatamente dopo gli affetti, metterei “scrivere”, perché mi apre la mente, la sento attiva, mi tiene sveglio molto meglio del sudoku, rimette in circolo tutto quello che ho visto e sentito, traducendo i sensi in qualcosa di tangibile, e cristallizza ogni mio vissuto rendendolo indimenticabile, e questo sia che si tratti di una parola o di una gag di Berta, sia che si tratti di una storia o di una serie di ricordi che valga la pena conservare.
Qualcuno ha detto che “leggere” è come vivere tutte le vite dei personaggi delle storie che si leggono. È verissimo, ma io credo anche che scrivere -di sé, di quello di cui ci si circonda e di ciò che si ama- equivalga a vivere all’ennesima potenza, che sì, forse non è come vivere più vite, ma almeno è come vivere la propria nel modo migliore possibile.
1 commento:
Cla vaca ad to sorela
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