La memoria delle sensazioni


O anche "Elegia numero uno: del bar".
Ne seguiranno altre.
Buona lettura.

I spend my time sittin' on the fence with a mate of mine
I'm tryin to write the line of a story


Sarà perché quand'ero monello non ho mai visto troppi soldi in casa.
I tempi più che essere diversi, erano rovesciati: se ora l'ultimo degli operai della Ferrari piglia uno stipendio pari a quello dei più considerati impiegati di una grande Ceramica, venti anni fa era il contrario, e se a questo s'aggiungeva il fatto che non ci fossero Schumacher, Alonso e compagnia cantante a garantire premi produzione agli uomini di rosso vestiti e murcia imbrattati, ma ci fossero Berger e Alesi al comando di due trattori imploranti pietà che arrivavano sì e no in fondo alle prove libere, s'evince perché la mia famiglia (papà operaio in Ferrari) non avesse così tanti danée da sperperare.
Sarà per questo che negli anni dell'adolescenza -ovvia conseguenza- mi sono tenuto alla larga da bar e locali in genere: perché se volevo apparire ordinario in tutte le cose normali (scuola, compagnia e squadre di calcio varie), l'eventuale me straordinario non poteva permettersi di dare altro che un leggero filo di gas nelle cose speciali.

Dunque è forse a causa di questo passato che ora il mio portafoglio, il portafoglio di uno che lavora regolarmente (sempre bene precisare: PER FORTUNA Y PER ORA...ndr), si svuota con la stessa velocità di quello del padre che porta il figlio al mare: perché non so gestire qualcosa di cui non ho avuto completa educazione e di cui ora mi cala consapevolezza.
Tuttavia è a causa dello stesso background di cui sopra che mi incazzo come una pantera quando penso che un libro o una pizza al taglio costino troppo, che fare la spesa sia una scelta a due con qualcos'altro di più divertente (mi spiego meglio: o vado alla freddissima COOP di Maranello a comprare qualcosa che non sia una birra, o esco anche di sabato sera. Tutte e due niet) o quando dopo aver valutato lungamente se acquistare un paio di jeans, un maglione, le Nero Giardini da far parata in ufficio, mi interrogo nel profondo e mi rispondo:"Ma no, non mi manca niente, va bene quello che ho già", e mi tengo le mie scarpe di gomma, porco xxx, porca ecc..., o, ancora, quando mi si rompe qualcosa che non posso/so aggiustare (exempli gratia: la cartuccia che ho appena montato sulla stampante non va, m'è caduta, l'ho rotta, sono maldestro, lo so) e ne devo acquistare un'altra.
Due miserie in un corpo solo: spendaccione e resca.
Se uno ci pensa non è un concetto molto distante dal bipolarismo tipico dell'italiano medio cui fa cenno, nemmeno troppo velatamente, Maccio Capatonda. Da una parte chi si chiede quanto costi il sale e da che parte stia andando il mondo, dall'altra chi vive come se non ci fosse un domani. E rimane aperto un interrogativo rilevante: in media stat virtus?


Ma al di là di questa introduzione stucchevole, quasi Oliver Twist al mio confronto fosse sempre stato bello, fortunato e benestante, il punto è un altro, ed è ben più preciso di quanto possa sembrare e molto più interessante di quanto si possa preannunciare.
Non so se i soldi realizzino i desideri, ma so che a me hanno consegnato, senza bisogno di caparra o cauzione, le chiavi di quei mondi da cui m'ero tenuto alla larga in passato: bar e locali in genere. Luoghi che ti danno il polso del mondo intorno, e che racchiudono le più disparate categorie di individui:
  1. quelli che fanno i saputi e vogliono mettere le braghe al mondo;
  2. quelli che la devono far fuori (per forza, aggiungo io);
  3. casi umani, per lo più gente che canta al karaoke;
  4. subnormali prestati alla vita, che quando dice bene si limitano a fumare quantità industriali di sigarette matte, quando dice male raggruppano tutte e undici queste categorie.
  5. criminali della galassia (tra cui spiccano diversi personaggi che mi devono almeno 10 euro);
  6. gente che suona in cover band dei Doors (questa categoria non differisce di molto dalle ultime due menzionate);
  7. quelli che fanno sfoggio di ogni tipo di giurisprudenza e quelli che invece l'hanno messa al bando;
  8. simpatizzanti di stati canaglia vari;
  9. disoccupati di lusso, detti anche "disoccubirra", splendidi perdenti, andando in prestito di parole di Tom Waits;
  10. quelli che sono sempre passati col rosso sotto ogni punto di vista ed in ogni ambito della vita;
  11. personaggi davanti ai quali l'unica reazione possibile è: da quando quelli come te sanno parlare?

E ora un pezzo da cui ho tratto principio e ispirazione:

Chissà che nome d'arte avrà il DJ se sceglie sempre e solo tutto lui.

Da una qualche parte devo aver letto che una frase che mi ha molto colpito.
"Ogni giorno un furbo ed un coglione si svegliano: se si incontrano, l'affare è fatto". Vero, verissimo, e se fosse una targhetta o un cartello di quelli che vendono come souvenir nei paeselli di villeggiatura, lo affiggerei alla parete di ogni bar, perché nessun altro posto si presta meglio ad esserne reale metafora. Ma questa è accademia, questo potrebbe averlo detto chiunque, Giovannino Guareschi, Stefano Benni, Luciano Ligabue, Enzo Licantropo, ecc...

"Allora gli stronzi come te non dovrebbero berlo, dovrebbero galleggiarci in cima"



Torniamo sul pezzo. Uno dei più diffusi/scontati stati di facebook dice che la felicità è vera solo se condivisa: può darsi. Ma penso sia altrettanto vero che un sentimento individuale sia sincero solamente quando viene condiviso il meno possibile. E a me piacciono i bar perché -in primis- sono i luoghi cui devo la mia emancipazione economica: e questo è il mio primo e più sincero sentimento di felicità. Non v'è altro posto o altra situazione che mi permettano o mi abbiano permesso -egoisticamente parlando- di sentirmi più libero, e più diverso di quando ero un monello senza nogra.

Due bei consigli, te li do? Te li do?
1) Vatteneaffanculo!
2) Restaci. 
Me pare che siamo a posto.

In seconda battuta adoro i bar per svariati motivi, anch'essi tutti sinceri, seppur diversi.

Innanzitutto perché non esistono altri posti dove sia presente una così alta percentuale di ragioni sbagliate per fare cose giuste, e di ragioni giuste per fare cose sbagliate. Amicizie e affetti nascono e vengono traditi proprio così e tante volte quello che la notte sembra amore il giorno dopo diventa un errore (e viceversa, naturalmente).
Ma del resto come dice una famosa tag-line di Fifa: if it's in the game, it's in the game.
Io non so come siate voi, ma io sono un po' come Lemmy dei Motorhead ossia 49% son a bitch e 51% motherfucker: ne va che per me sia facilissimo troncare ponti, creare isolette e beccarmi, senza troppi piagnistei o lamentele di sorta, embarghi a tempo più o meno determinato di familiarità e confidenza. Ma da tutto questo il bar non ne esce come un cavallo di troia, ma come il più credibile dei termometri: quello che la coscienza degli uomini arresta, l'alcol del banco trasforma in un sentimento a suo modo nobile, e qualcosa di confuso o taciuto diviene onesto, ma onesto nella sua accezione più franca, vale a dire innegabile.
Dicevamo: un sentimento sincero. Più umano, più vero.


Dei bar e dei locali sui generis impazzisco poi per le più scostumate frivolezze.
Dante, a spasso con i Malebranche non restò schifato dai tempora e dai mores, ma si limitò a commentare:"ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni", a voler dire che "paese che vai, gente che accetti di incontrare", da declinare nella mia sbabbelata, con:"bar che frequenti, personaggi che incontri e parole che ascolti".
E allora ci sono i locali dove posso ballare dentro pur non essendo in presenza del mio avvocato, o cantare al karaoke come se nessuno mi stesse guardando; ci sono quelli dove posso entrare, salutare i gestori con due dita papali, ordinare uno Jagerbomb, pontificare e chiedere:"fate credito ai profeti, qui?". Ancora, ci sono quelli che durante le feste comandate si trasformano in bolge inenarrabili, in cui, dopo essermi imbottigliato nel traffico nella speranza di pigliare una birra, riesco ad uscirne, trovare un amico e ribadirgli che l'Inter è una squadra così di merda che se proprio bisogna parlare di disgrazie, è meglio tirare in ballo Conte e la Juventus.

A causa di cosa, però, sono a qui a raccontare del bar e delle sue bellezze?
Per l'importanza dei singoli, e in questo specifico articolo lo spunto viene proprio da un singolo, un amico che qualche settimana fa, dopo essersene andato per qualche mese all'estero, ha fatto temporaneamente ritorno a casa. Non che sia io nuovo a esperienze di questo tipo, a boys back in town, o amici back in to the hole where they're born, ma questa volta è stato tutto molto più forte. A seguito di una cena sfascio a base di tagliatelle super (Dio benedica Gavioli in versione Tessa Gelisio) e “sbaghinate varie” (tanto per renderla con un romagnolismo ad uso e consumo del foresto), abbiamo deciso di affidare le pecore al lupo e terminare la serata in uno dei nostri locali di riferimento ed è stato un attimo trasformarla in una sciarada senza decenza, per la serie "le buone maniere sono andate in vacanza". A tal proposito, anche se non c'entra una benemerita minchia, mi viene sempre in mente una ragazza straniera che, davanti ad una mia schiumata, una volta mi chiese:"Did your mother teach you good manners?"

E poi dicono che le favole capitano solo in Unione Sovietica

Per la cronaca il giorno dopo mi sono presentato a lavorare con un cera che sembrava m'avessero arato la faccia e forse nemmeno Grissom, quello di CSI, mi avrebbe riconosciuto (cit 1.), e vestito, più che alla va là che va bene, proprio come se mi fossi lanciato dentro il guardaroba con addosso una tuta di velcro (cit. 2).

Ma tutto questo questo rientrava nel non-programma della festa a bestia di coming back. Quel che mi ha invece colpito è stato chiacchierare dopo tanto tempo col mio caro amico e capacitarmi del perché Gigi Meroni sia uno dei suoi principali idoli.

Chi si ricorda di Gigi Meroni?

Che quando scendo in campo, amore mio, certi dolori/pensieri si trasformano in un magico show
e li faccio sognare, in balia del mio spirito innocente, li stupisco sempre, sono un giocoliere,
li faccio godere. Geniale, anarchico e irriverente, tutti battono le mani, si alzano improvvisamente...
per non perdere di vista la palla avvelenata che sembra impazzire, innamorata, 
quando sulla fascia vola la Farfalla indiavolata.

Parole e musica degli Yo Yo Mundi che si riferiscono all'ala granata dei bei tempi che furono, ma sono anche quelle che il mio amico avrebbe potuto spendere su sé stesso nel corso di quella chiacchierata. Perché sì, fondamentalmente, parlano di lui nel bene come nel male, nei momenti in cui è immarcabile e andrebbe seguito con tanto di taccuino per prendervi appunti di viaggio, di vita e di frasi fatte (non fosse che, come dice lui, dopo surclasserebbe in termini di scrittura l'amico Gavioli), e nei momenti in cui andrebbe preso solo a male parole, più o meno affettuosamente.
Rimane che, come i fuoriclasse di una volta, vanno presi così come sono, in gloria e no matter what.


Non so per quale ragione, ma è stato mentre eravamo in favella brindando con birre e José, che ho avuto voglia di mettere nero su bianco quest'elegia. Proprio durante uno degli istanti della conversazione, m'è balzato alla mente un episodio di quest'estate, di quando lui, durante la proiezione della sentitissma semifinale dell'Europei Italia-Germania, una volta inquadrato Ozil (il fantasista tedesco di origini turche), gli ha urlato:”Ozil, per me senza piccante, grazie!” Battuta tanto raffinata quanto provocatoria e, proprio in virtù di queste due ragioni, S-T-R-A-O-R-D-I-N-A-R-I-A.

Che se il bar avesse dei paradigmi, lo sfottò calcistico ne farebbe parte, e di buona misura.


Le vittorie della Nazionale Italiana sono il più grande condono popolare di coscienze pentite e voltagabbana in genere che si sia mai visto. È proprio in quelle serate che vedi il bar pieno, stracolmo di gente che non s'è mai presentata prima e che pretende pure di avere il posto riservato davanti alla megatelevisione. E allora, come se ci fosse uno spogliatoio, i senatori del bar aventi potere di parola salgono in cattedra e sproloquiano tutte le volte che si sentono in dover di esternare la propria opinione in merito alla partita o al riguardo di qualche pellegrino di passaggio che gli ha inculato la sedia o che ha la grave colpa di esser passato davanti a loro esattamente mentre Balotelli prendeva palla e mirava la porta tedesca.
J'adore.
Ma questa non è qualità di tutti, ed è la stessa differenza che c'è tra un bar bello e un qualsiasi altro luogo anonimo cui non legare alcun ricordo o affetto. Un po' come la differenza che c'è -architettonicamente parlando- tra l'outlet di Fidenza ed un qualsiasi borgo medievale senese.

Voi forse non ci crederete ma è veramente così: un po' Istanbul, un po' Gardaland ma con la tremenda aggravante che non c'è nemmeno un fottuto tabacchino

Per capirci: ho visto una partita seduto al tavolo di un locale che dava sulla piazza del mio paese: centinaia di persone, trombe, vuvuzele, bandiere. Apparentemente una situazione di enorme calore: in realtà definirlo frigido non rende l'idea.
Ho visto più di una partita nel bar cui vado quasi sempre d'estate in orario ape: cambiando la disposizione delle persone presenti non sarebbe cambiato nulla, un po' come quando muta l'ordine degli addendi ma il risultato dell'operazione resta uguale. Oltre a questo le partite dell'Italia richiamano troppi napoletani e quando sento troppi “uagliò”, “ch'amma fa?” e robe affini di solito mi viene l'orticaria e subito dopo muoio.

Ho allora realizzato quanto mi manchi questo terribile guascone e il clima che da solo riesce a creare  non solo nelle serate europee di calcio, nelle notti magiche inseguendo un gol o nei pomeriggi dedicati alla B, ma anche quanto mi manchino le serate a cazzo, quelle in cui ci si incontra per caso, senza essersi dati alcuna punta, a volte mandando tutto a carte quarantotto e in altre chiacchierando di football o di musica, con un trasporto tale quasi fossero le uniche due cose di cui valga parlare al mondo. Con lui e con quelli della sua stessa pasta.

In uno dei miei libri preferiti, consigliati dal noto scrittore Emanuel Gavioli (un altro di cui avrei potuto dire cose molto simili, non fosse che lui via non ci è mai andato: ok, diventa padre, ma è altro paio di maniche, “non ha il fascino dell’uomo che vive all’estero”, cit) ho letto una frase che mi è piaciuta moltissimo.


Una strada che profuma di Gutturnio e Ortrugo, con la vista sulle morbidissime colline vicine, anche quelle con le loro belle viti e con poche casette spaiate. In quei pomeriggi di tarda primavera, quando il sole comincia ad abbassarsi dietro quei colli che sembrano plotoni di tette e culi allineati e coperti, quella pianura sembra davvero splendida, capace di commuovere anche un vecchio cuore disincantato come quello di Treno.”

Ecco, se al posto di Gutturnio e Ortrugo ci fossero Lambrusco e... che ne so, Josè o Jagerbomb (tanto per rimanere in tema con Verlaine), e al posto del cuore disincantato di “Treno” (nome del protagonista della storia del libro menzionato) ci mettessimo il nostro, nel caso specifico il mio e quello del mio amico, non saremmo molto distanti dall'immagine che volevo trasmettere. E se invece che questa sconclusionata serie di pensieri, questo fosse il quinto film di Harry Potter, ora l'inquadratura andrebbe sul pensatoio di Silente, intento a pescare con la bacchetta una goccia di memoria, e poi… all’improvviso, eccolo catapultato in un momento passato, ma come se fosse lì, potesse vedere tutto pur senza far niente.

No, non è l'effetto della cocaina

Flashbax.
Era luglio ed una notte infrasettimanale si stava facendo vecchia. Ci siamo trovati a parlare di una canzone il cui video era uscito in quel periodo. Col senno di poi credo che, mentre l'amico mi spiegava il suo punto di vista riguardo alla canzone, stesse in realtà parlandomi di sé stesso (nell'accezione di Dylan Thomas e della rockstar, specie), e anticipasse quello che sarebbe stato di lui nei mesi che sarebbero venuti, senza tuttavia dirmene assolutamente niente. Magari sbaglio.


Risulta difficile trarre qualche conclusione a quest'infinita sequela di connessioni neurali particolarmente discutibili, e forse nemmeno c'è. Magari è uno stream of consciusness Tommypanini style; magari no, perché di solito la roba che scrive Tom è come una bicicletta: ha telaio, gruppo e ruote, insomma ha tutto quel che serve per funzionare. Mentre questa converrete, non lo è affatto.
Ma in fondo credo che sia giusto così perché non è per nulla facile elogiare un bar, elogiarne il concetto e le caratteristiche senza scivolare nel banale e nel già detto. L'unica cosa da fare è smarrire il filo logico e condurre le danze della scrittura proprio come se fosse una serata passata li', e poco importa se il bar adesso si chiami Pub, e al posto del nome Sport ci sia un nome inglese.
La sostanza non cambia.
E allora non c'era altra soluzione per scrivere questa elegia.
  • Il capo dell’articolo è certo. Stasera si va al bar = Si parte con le migliori intenzioni, parlando molto e facendo inutili digressioni di five W di cui non interessa un cazzo a nessuno.
  • Il corpo dell’articolo è confuso e annebbiato tanto quanto la serata alcolica. Ci si diverte = si rimembrano i tempi andati, si fa festa, si pontifica, ci si abbraccia, grandi pacchi sulle spalle, si parla di calcio, di figa e di musica.
  • La fine dell’articolo è totalmente incerta. Come dire che si va a casa sbronzi e ci si sveglia il giorno dopo convinti d'essere sopravissuti all'Apocalisse. = Piano piano affiorano i ricordi e si cerca di dar essi una quadra, basta sia.
E dei ricordi, esattamente come degli amici, ho imparato che quelli che superano la prova del tempo sono quelli da conservare più avidamente.


Lo spunto, per chi mi conosce e conosce quello che il mio collega subnormale definisce "Diobo Simone la tua banda", è chiaro. Ma nessuna delle persone che più di una volta m'abbia fatto compagnia in bar/pub davanti a mille birre deve sentirsi esclusa. Non per fare discorsi cerchiobottisti, ma ognuna di queste mi ha dato qualcosa, un po' come se io fossi un calciatore ed ogni mio compagno di bevuta fosse stato, anche solo per il tempo di un drink, l'allenatore di quella sera. Elencarli tutto sarebbe rischioso, perché sicuramente dimenticherei qualcuno.
E allora poco importa che il mio portafoglio pianga miseria ed ogni week end assista alla trasformazione biblica di banconote di cinquanta euro in banconote di taglio di volta in volta sempre minore, perché spendo in parole, spendo in amicizie, spendo in ricordi, spendo in pezzi di cuore, ma soprattutto spendo nella futura memoria delle sensazioni.

Beh, forse quella consapevolezza del denaro di cui all'inizio lamentavo l'assenza non ha senso d'essere. Trovatela voi, una spesa migliore della mia.

"Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore: tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?"

There's nothin wrong in my world
And these things they really don't matter now

 

3 commenti:

Bruttoformo ha detto...

Leggerti è sempre un piacere, che alla fine capisca doveve volevi andare a parare o no.

In fondo aprire un pub (o un bar che dir si voglia) è sempre un po' il mio sogno, alla faccia del dottorato in astrofisica.

Zuzù ha detto...

Grazie. Spesso non capisco dove voglia andare a parare. È così evidente? ahah!
Ho cambiato anche il titolo, mi garbava più questo.

Emanuel Gavioli ha detto...

Che sbandato.

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