I fiòl di gàt i magnen i pundeg.

Premessa
Correva l'anno 1995, avevo 14 anni.
Dopo una vita passata in piscina e sui campi di calcio mi innamorai del tennis.
Accadde per caso.
Mio padre, specie in estate, occupava molte sue serate sui campi rossi di Pozza.
Una volta il suo compagno di racchetta non riuscì a presentarsi e mio padre, vedendo che stavo diventando un ometto, mi chiese se mi fossi sentito pronto a giocare contro di lui.
E io, con tutta l'arroganza dei miei 14 anni, risposi qualcosa come "claro que sì", senza aver mai preso una racchetta in mano.
Presi un 6-0 di quelli umilianti e mio padre non si divertì neanche, ma per me fu bellissimo.
Allora non potevo capire ma son quelle esperienze che formano un ragazzo.
Affrontare il proprio vecchio, mandarlo a fanculo, cercare di scherzarlo senza riuscirci, fingere di non ascoltarlo quando mi rimbrottava ma seguire ogni sua indicazione avidamente, mandarlo a fanculo un'altra volta, venire umiliati ogni 3 x 2, fare la doccia insieme.
Generazioni contro, lo stesso sangue contro: cazzo che figata.
Andammo a giocare un sacco di altre volte quell'estate. Nonostante la mia prima sconfitta, ero portato, a livello di talento sportivo ero come mio padre, e del resto i fiol di gàt i magnen i pundeg.
A Settembre volli andare a giocare per davvero.
Mi iscrissi ad un corso di tennis a Maranello. Mi fecero un provino e mi misero ad un livello buono, il secondo in assoluto. Caso volle che mi ritrovai ad allenarmi con un tot di ragazzi e con mio cugino, Francesco.




Storia
Dopo un anno di allenamenti, gli insegnanti decisero di organizzare un torneo.
Era a griglia con eliminazione diretta al meglio delle due. Si partiva dai 32esimi.
Chi avrebbe vinto la finale avrebbe avuto accesso al gotha del tennis giovanile maranellese, l'anno dopo si sarebbe allenato con i ragazzi più forti, quelli del primo livello.
Feci fatica solo in semifinale, del resto non ebbi grosse difficoltà ad arrivare in finale.
Ovviamente mi ritrovai a giocarla contro mio cugino.
Al tempo non lo avevo capito ma ora posso dire con certezza che non fu un caso nemmeno quello. Gli insegnanti misero me da una parte del tabellone e Francesco dall'altra così che ci incontrassimo in finale, perché tanto ci saremmo arrivati entrambi. Poi lì si sarebbe visto il più forte. Se avessero studiato il tabellone in un altro modo e ci fossimo incontrati prima, la finale anticipata non solo avrebbe rovinato la bellezza del torneo, lo avrebbe falsato.

Andavo ad allenarmi due giorni a settimana, dalle 5 alle 6.30.
Andavo al campo di Maranello a piedi quindi uscivo e correvo da mio padre che mi aspettava. E' sempre stato molto severo e non ha mai tollerato il ritardo per cui io alle 6.31 massimo dovevo essere davanti alla sua macchina.
Lui usciva dalla Ferrari alle 6, bella grazia che mi aspettasse fino alle 6.30 e mi portasse anche a casa. Ogni volta correvo come un matto verso la sua macchina sperando non tanto che mi sorridesse, ma almeno che fosse meno nervoso del solito perché avevo fatto in modo di non fargli perdere troppo tempo.
Una volta arrivai alle 6.40, mi diede una cazziata che me la ricordo ancora.

Nel torneo dovetti quindi non solo giocare contro i miei avversari, ma anche batterli per tempo. Non potevo gigioneggiare, dovevo schiantarli alla svelta. Non potevo stare a fare dei pizzi, palleggiare, ricamare. Appena vedevo dello spazio io sparavo delle fucilate e tanti saluti. Per vedere Agassi bisognava guardare l'altra parte del tabellone, se invece ci si accontentava di Sampras c'ero io.

Arrivo in finale contro mio cugino, contro Francesco.
Ci sono anche i ragazzi del primo livello ad osservarci.
Il primo set non ci capisco un cazzo. Perdo 6 a 2 senza troppe feste. Chissà? L'emozione. Una finale è pur sempre una finale.
Il secondo set capisco che non si può più scherzare, e oltretutto sto anche perdendo del tempo. Mio padre non me lo perdonerà mai. Per cui cerco di vincere e di liquidare Francesco alla svelta. Vinco io 6-4.
E' al meglio delle 2 quindi si va alla bella.
Gran peccato che siano già le 6.15.

Alle 6.30 siamo 2-2.
Inizio ad agitarmi, mio padre è lì fuori che mi aspetta.
Amen, non posso mica perdere. Aspetterà altri dieci minuti.
Alle 6.40 siamo 3-4 per me.
Sono agitatissimo, avevo previsto di aver vinto a quest'ora.
Amen, mio padre aspetterà altri 5 minuti. Non posso perdere.
Alle 6.50 siamo 5-5.
Non me ne fregava un cazzo del fatto che chi avesse vinto avrebbe giocato contro i più forti, non me ne fregava un cazzo che il rampollo dei parenti contadini potesse imporsi sul rampollo dei parenti dottori, non me fregava un cazzo di questa incredibile rivincita sociale, non me ne fregava un cazzo che Francesco giocasse da una vita e io solo da un anno eppure fossi lì, mi fregava solo di due cose:
1) vincere;
2) sperare che mio padre non si incazzasse.

Alle 7 siamo 6-6.
Una finale infinita. Il campetto tutto intorno era pieno di gente, tutti che ci guardavano.
Potevano essere anche in centomila, non me ne fregava un cazzo.
Io dovevo vincere, e dovevo sperare che mio padre non si incazzasse.

Tocca a me battere, butto lo sguardo verso il parcheggio, e vedo mio padre, attaccato alla rete di protezione che mi guarda. Ha due occhi cattivissimi.
Non importa, prima vinco e poi mi prenderò la cazziata.

Francesco è fortissimo e non ha la minima intenzione di perdere.
Andiamo avanti fino a 13-13 e arrivano le 7.20.
Guardo mio padre, è incazzato nero.
Decido allora di darci a mucchio.
Commetto doppio fallo, mando lui in battuta e al secondo scambio la sparo fuori con quanto ne ho, senza nemmeno guardare dove.
Faccio su armi e bagagli e vado verso mio padre.

Non ci diciamo niente, sale in macchina, accende, partiamo.
Io che pensavo:"adesso si incazza, mi urla addosso, mi dice che d'ora in poi devo tornare a casa a piedi, ecc... che due maroni...". Non mi importava più aver perso, mi interessava solo uscire dalle cazziate di mio padre con meno ossa rotte possibile.

Dopo duecento metri, si ferma, spegne la macchina, mi guarda, e mi urla:"ADESA T'EM DIT CUM ET FAT A PERDER, SEMO!!!".

2 commenti:

Fonzo ha detto...

Mennego è sempre il n°1

Emanuel Gavioli ha detto...

che delusione che sei Z.!

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