"Bisogna sempre esser pronti ad un'idea nuova e ad un vino vecchio". (Bertold Brecht)
E se lo ha detto uno così...
Come dice una mia amica:”Ogni coglione ha la sua passione” e a me, ultimamente, è venuta quella del vino. Due anni fa, per contingenze che non sto a spiegare qui, ho cominciato ad imbottigliare Brunello di Montalcino e ad allestire la mia prima piccola cantina.
Tra l’incredulità di mio padre, che nella propria esistenza ha sempre e solo imbottigliato Lambrusco, e comprato cartoni di vino bianco tipicamente emiliano (‘na roba che, davvero, preferirei ingoiare del paraflu), ho imparato ad apprezzare il valore degli abbinamenti con le pietanze (un buon pasto senza un adeguato vino è come una giornata di pioggia: inutile), ad informarmi sulle tipicità di ogni città e di ogni regione, finanche ad interessarmi dei diversi vitigni. Del resto come sosteneva qualcuno:"Si è sapienti quando si beve bene, se non si sa bere, non si sa nulla".
Facciamo però un passo indietro.
Ogni uomo è come una porta chiusa: ha una serratura di cui occorre aver la chiave per poterla aprire, quindi entrarvi dentro e scoprire cosa nasconde oltre, cosa cela all'interno. E stesso dicasi per ogni situazione di cui non conosciamo molto: a volte basta una parola d’ordine, una parola detta bene al momento giusto e il nodo di Gordio si dipana chiaramente.
La parola d’ordine che non sapevo di aspettare è stata:”TAGLIARE”.
Un mio collega ormai sulla sessantina, anche se a vederlo dimostra quindici anni in meno (magro stenco, capelli corvini, non un filo di bianco, poche rughe), qualche giorno fa entra nel mio ufficio. Non è un uomo molto complimentoso, anzi, è una persona ruvida, dalla serratura molto intricata. Comincia a pontificare sui bei tempi andati, su quando Fiorano era diversa, c’era più collina, più verde, più vite. Racconta, senza che nessuno gli abbia chiesto niente in merito o si permetta di interromperlo, che quando era bambino raccoglieva l’uva con il nonno e poi si divertiva a pigiarla. Dopodiché partecipava alla mescolatura del vino, fase in cui le uve lambrusche venivano mesciate ad uve di altri vitigni, il cui scopo era quello di tagliare le prime, “alleggerirne la consistenza”, così che il prodotto finale risultasse meno pesante e più apprezzabile.
Nella fattispecie le uve di Lambrusco venivano tagliate dalle uve del Malbo, il Lambrusco veniva tagliato dal Malbo.
Rimango colpito dalla termine tagliare, dal nome Malbo e dal discorso in sé. Credo che certe parole possano avere pesi specifici incalcolabili quando creano significati inediti o quando producono un bel suono. S'innesca la voglia di ripeterle, di pronunciarle con la propria lingua e tra i propri denti, di riempirsene la bocca.
Un po' come quando in Hurt, Trent Reznor fa schioccare la lingua sul palato la seconda volta che ripete "What I have become?" Devi provarlo a fare anche tu, fine del film, è troppo figo.
La cosa strana era che avevo già sentito il nome “Malbo” ma non riuscivo a collegare dove e quando, fino a che non m'è saltato alla mente che me ne aveva accennato la donna che mi sopporta. Diceva di averlo bevuto in un'enoteca a Pavullo, occasione in cui l'oste le aveva raccontato si trattasse di un vino pregiato proveniente dalle colline di Serramazzoni.
M'era sembrata una storia un po' bizzarra: l'Appennino non è noto per terre adatte alla vite né avevo mai sentito di vini di qualità provenienti dal Frignano. Oltre a questo, stonava il fatto che il mio collega m'avesse detto che una volta queste uve venivano raccolte tra Fiorano e Scandiano, tutte altre terre, le quali, nonostante la forte vocazione industriale degli scorsi sessant'anni, conservano ancora fertilità più uniche che rare, in quanto soggette a microclimi che hanno reso possibile la coltura di prodotti del tutto atipici per l'Emilia, come le olive o le nocciole, per dirne due.
Sfido la ruvidità del mio collega e gli dico d'essere rimasto molto impressionato dalla sua storia, di averne parlato a casa e di essermi ricordato di quanto scritto nelle righe sopra. Gli domando allora se ritiene possibile che il vino di cui parla donna Ilenia sia lo stesso di cui parla lui.
All'improvviso trovo la chiave per dischiudere l'ingarbugliata serratura del mio collega.
Il suo classico sguardo freddo si indebolisce, la rigida postura si allenta: ho davvero trovato come scioglierlo. E non che volessi farlo, né sapevo che sarebbe stato il vino, no anzi, il Malbo, il lasciapassare di cui avevo bisogno. Si lascia andare e mi risponde di non esserne al corrente ma scappa immediatamente nel suo ufficio perchè “gli è venuta sbrusia” di combinare i suoi ricordi alle mie informazioni. Mi richiama una decina di minuti dopo, chiedendomi di raggiungerlo per vedere cosa ha scoperto. Mi mostra tre siti di aziende agricole, due dei quali lavorano il Malbo in purezza: una a Levizzano ed una a Pazzano, una frazione di Serramazzoni.
Mi invia i link dei siti così che, al termine della giornata in azienda, possa guardarmeli con calma a casa. Nel frattempo però mi dice che sapeva di un agriturismo di Levizzano ma non sapeva che lavorasse il Malbo in purezza. Era stato là più volte e proprio durante le sue visite, gli agricoltori del posto gli avevano detto di come stessero cercando di recuperare il vitigno di Malbo, vite autoctona caduta “in disuso”, e ricorressero a uve del Sud America per tagliare il lambrusco.
Di colpo ho un flash.
Adorando la carne, sono stato più volte in ristoranti argentini, per gustarmi asado e compagnia danzante e scoprire in cosa differissero dalle prelibatezze toscane o piemontesi. Avevo, ovviamente, chiesto di accompagnare il tutto con vino rosso fermo, e m'avevano indicato quello che per loro era il più adatto, essendo prodotto proprio sulle colline argentine.
Quel “vino tinto” si chiamava e si chiama “Malbec”.
La mia professoressa di Filosofia diceva che non ci si dimentica mai di niente. Fondamentalmente il nostro cervello è un grande archivio di informazioni che solo in apparenza sembrano perdersi, ma che in realtà si recuperano naturalmente quando se n'abbisogna: il Malbec ne era un esempio lampante.
Forse però la mia professoressa di Filosofia non aveva mai bevuto più di un Long Island nell'arco della stessa sera, altrimenti saprebbe come i neuroni possano prendere tangenziali imprevedibili.
Approfondisco e scopro che si tratta di un vitigno che trova terra fertile nel bordolese (vuole dire nei dintorni di Bordeaux), nelle campagne sud-americane e anche in Italia, nelle zone collinari che presentano climi favorevoli nonostante le alture, tipo quello ligure o alcune zone dell'Emilia, dove sono presenti alcune coste collinari o montane baciate dal sole, che ancora serbano nei propri terreni un'immensa poesia pronta per essere imbottigliata. Galileo diceva che il vino è un composto di umore e luce: aveva ragionissima.
Curioso fare un raffronto che si perde nella notte dei tempi e che vale la pena citare. Il Frignano è così detto perché abitato, in un passato molto lontano, da una popolazione che veniva proprio dalla Liguria, i liguri friniati.
Comunque sia, alla sera mi stampo tutti gli articoli che trovo sul link cui mi aveva reindirizzato il mio collega e non solo esaurisco la mia sete di sapere ma faccio anche due interessanti scoperte.
La prima è che un noto ristoratore di Firenze, originario del modenese, conosce il Malbo e ne parla benissimo, a testimonianza che siamo davanti a qualcosa di davvero pregiato. Mai sentito parlare dell'Enoteca Pinchiorri?
Presa direttamente dal sito www.boniluigisrl.it
La seconda è che proprio il 30 Marzo all'interno di questa azienda agricola si terrà una festa, in cui si potranno degustarne i prodotti tipici, tra cui, appunto il Malbo Gentile, così chiamato, prodotto in purezza dalle viti da cui prende il nome. E, ovviamente, io il 30 Marzo non ci sono.
Pertanto, per non sbagliarmi, sono stato là ieri e ho acquistato due bottiglie di Malbo.
Ebbene, dopo averne sentito qualche bicchiere, non credo di sbilanciarmi troppo se dico che questo vino diventerà un fiore all'occhiello della produzione vinicola modenese. Non mi spiego perché, a suo tempo, i contadini di una volta non ne avessero intravisto le dovute prospettive e avessero deciso di sfruttarlo solamente per tagliare il lambrusco, ma forse è perché ogni suo frutto ha la sua stagione e probabilmente allora non si era pronti per un vino di questo tipo, molto semplicemente.
Io ve lo consiglio, era ora che a Modena si producesse un vino rosso fermo con tutti gli attributi del caso e che ci fosse una valida alternativa al Lambrusco che, per quanto fuori regione sia classificato come vino ideale da accompagnare alle nostre pietanze grasse, rimane vero quello che lessi qualche tempo fa sul post di un mio amico che vive e studia a Torino (Tommy Panino), ossia che fondamentalmente un'altra percezione del Lambrusco emiliano è quello di una semplice gazzosa di color rosso e un po' alcolica.
Fondamentalmente è vero
Fondamentalmente è vero
E dire che ce l'avevamo sempre avuto, il Malbo.
Per me è stata una notizia incredibile.
E ora qualcosa di dissacrante che alleggerisca questa pseudotesina vitivinicola, qualcosa che tagli la presunta laboriosità di quest'articolo.
"Winston, sei ubriaco!", lui si alzò e rispose: "Signora, lei è brutta. Ma io domani sarò sobrio".
Da un sopraffino dialogo tra Winston Churchill e Lady Astor