Anche se è raro che faccia così, per non pensare alla fatica mi armo di auricolari musicamuniti. Mi piace infatti molto di più sentire i rumori della natura intorno, devo ascoltare il mio respiro e il battito del cuore, devo tendere l'orecchio alle macchine che arrivano dietro di me.
Ma
è da quando sono bambino che non faccio questa strada tanto amata dai
ciclisti, non me la ricordo più, devo riprenderci le misure, e penso
possa essere una buona idea distrarre la mente dalle gambe e dal fiato,
messi a dura prova da una salita ardua perchè lunga. Nulla in tutto se
non dalla Cresta del Gallo alla locanda, ma ad una certa sembra davvero
che l'orizzonte della fine si sposti sempre un metro più in là, che
l'ultimo tornante non cessi più.
Arrivato
alla locanda sulla via Vandelli, vedo un vecchio che attraversa la
strada, con passo lento e rassegnato. Si ferma davanti all'unica
epigrafe affissa al muro del vecchio Bar e, con le mani dietro alla
schiena ingobbita dall'età, la legge e la rilegge come se trovasse un
significato nuovo ogni volta.
Poi
ripassa dall'altro lato della strada quasi avesse appreso l'ennesima
brutta notizia ma non fosse così turbato, come se fosse sorpreso di non
aver letto il suo, di nome, su quell'epigrafe, ma quello di qualcun
altro, qualcuno per cui valeva leggerla due, tre, quattrocento volte.
Decido
di proseguire fino al Santuario, di salire l'ultimo strappo, e Who Said
dei Planet Funk mi dà la carica per spingere con quanta ne ho sui
pedali. Mi passano a fianco un sacco di macchine per essere lunedì e per
essere mattina, e tra l'altro non mi risulta che vengano dette Messe a
quell'ora. Non capisco perché, e mi sembra pure strano.
Giunto
in cima, entro sicuro nella piazzetta del Santuario e lo scopro invaso
di gente. Non parla nessuno, gli sguardi sono tristi, e gli occhi,
gonfi, sono rivolti verso il basso.
Volto la bici e decido di far ritorno a casa, in pianura, non è il momento di stare qui e ammirare il paesaggio.
Prima però mi siedo per riposare e bere, e in quel momento mi tolgo le cuffie.
Il
silenzio del funerale e le voci, ammucchiate e confuse, che parlano di
come e quando sia stato trovato, di qualche ricordo condiviso dal
narratore di turno, di "quella volta che".
Non c'è un parcheggio che sia uno, anche i campi sono pieni di macchine,
arrivano a frotte per salutare l'amico, il padre, il fratello, chissà,
forse il nonno.
Deve essere morta una persona importante, o benvoluta, che alla fine di "importante" è l'accezione migliore.
In
quel momento capisco il perché del passo remissivo del vecchio che
avevo incontrato alla locanda, e il perché di questa enorme folla.
Inforco i pedali e infilo la discesa.
Peccato, speravo di tornare qui in bici in un giorno normale, senza trovare nessuno, e senza alcuna tristezza nell'aria.
Rimetto le cuffie, e sento un tanto estemporaneo quanto azzeccato Pierpaolo Capovilla.
come son belle le illusioni,
ed i pensieri tristi,
e le canzoni degli anni settanta
e quella voglia di andare via
e il desiderio di restare
La canzone si chiama "Due" e
ultimamente l'ho ascoltata davvero tanto, e questo verso è stato il
primo a colpirmi, la testa di ponte perché apprezzassi tutto il resto.
Perché è vero, perché alla fine piace a tutti crogiolarsi nelle illusioni, fantasticare, o sperare che.
E
lo stesso vale pure -paradossalmente- per i pensieri tristi, perché a
volte fa bene anche ricordare le cose meno belle o che non ci sono più,
quasi fosse una terapia con cui affrontare vis a vis i fantasmi della vita.
Strana
cosa collegare queste parole a un funerale, eppure forse non c'è
contesto migliore in cui farlo perché anche un funerale può essere
bello, nella sua drammaticità. E non come dicono i vecchi:"L'è propria
sté un bel funerel..." che non si capisce a cosa si riferiscano, a cosa
sia loro piaciuto. Io parlo di quel calore distaccato, parlo del
riconoscere in tutte quelle tristezze un amore comune, un amore ed un
affetto straordinari... Ed ecco allora la bellezza delle illusioni e dei
pensieri tristi; e perché no, magari perfino delle canzoni degli anni
settanta. Chissà? Magari chi oggi non c'è più è stato un uomo da balera
che amava danzare con tutte le ex-ragazze che oggi sono qui a salutarlo
per l'ultima volta, perché il confine tra la voglia di andare via e il
desiderio di restare è sempre più labile, soprattutto ora, soprattutto
qui.
Prendo la spinta, mi lancio in discesa e torno a casa.
A volte è davvero strano come le cose si leghino tra loro.
Checché ne dicano Marx o Weber
Gesù Giuseppe e Maria
abbiate pietà dell' anima mia
non si vive ogni giorno
non si può morire sempre.
Gesù Giuseppe e Maria
abbiate pietà dell' anima mia
non si vive ogni giorno
non si può morire sempre.